La politica dei “sacrifici” e la “svolta dell’Eur” 1977-78 – Intervista di Lama

Dalla metà degli anni Sessanta e per tutti i Settanta, la contrattazione aziendale ha rappresentato il punto nevralgico dell’intero sistema di relazioni industriali. Su terreno aziendale il sindacato subiva l’iniziativa della base essendo costretto, il più delle volte, ad inseguire la sinistra operaia sul suo terreno. Viceversa, la contrattazione nazionale di categoria (e più ancora i negoziati a livello confederale) rappresentavano il massimo  di distanza delle confederazioni sindacali dal movimento di lotta. Divenne quindi essenziale distruggere il ruolo politico della contrattazione aziendale per sottrarre alla sinistra del movimento un terreno di scontro favorevole.

Nel decennio 1968 – 1977 i sindacati crescono in maniera esponenziale, da un 34% della forza lavoro ad oltre il 52%, arrivando ad organizzare oltre 8 milioni di lavoratori. La partecipazione agli scioperi raggiunge livelli altissimi.

Ai primi di ottobre 1976 il governo Andreotti annunciò il suo programma di austerità. Tra le misure proposte c’erano l’ aumento del 25% del prezzo della benzina, del 20% del gas, del 15% dei fertilizzanti; il blocco per due anni della scala mobile e l’abolizione di sette festività. La settimana successiva venivano annunciate altre misure tra cui aumenti del prezzo dell’energia elettrica e delle tariffe telefoniche e postali.

Non era la prima volta che un governo annunciava un programma d’austerità, ma questo era un attacco particolarmente duro e provocò numerosi scioperi dal basso, che non sfociarono in uno sciopero generale grazie all’azione di pompieraggio del gruppo dirigente del Pci. Si conoscevano da tempo le misure che Andreotti stava preparando e si sapeva che Luciano Lama, segretario della Cgil, si era dichiarato in “totale accordo” con Andreotti.

La politica dei sacrifici e la svolta dell’Eur.

I dirigenti del Pci continuarono per tutto il 1977 a seguire la strada della collaborazione con la Dc. Il ministro degli Interni, Cossiga riteneva che condizione per far entrare il Pci nella maggioranza era data “dalla capacità o meno di far accettare alla classe operaia i sacrifici necessari per uscire dalla crisi economica.” (da la Repubblica)

Il 24 gennaio 1978. Ancora su la Repubblica compare un’intervista a Lama, divenuta celebre, intitolata “Lavoratori stringete la cinghia”. Lama prende spunto abilmente da un grosso problema che la classe operaia desiderava risolvere, la disoccupazione altissima, argomentando:

“Ebbene, se vogliamo esser coerenti con l’obiettivo di far diminuire la disoccupazione, è chiaro che il miglioramento delle condizioni degli operai occupati deve passare in seconda linea.”

L’intervistatore, il direttore de la Repubblica, Eugenio Scalfari, gli chiede di spiegare “in concreto” cosa intende dire, Lama risponde:

“Che la politica salariale nei prossimi anni dovrà essere molto contenuta, i miglioramenti che si potranno chiedere dovranno essere scaglionati nell’arco dei tre anni di durata dei contratti collettivi, l’intero meccanismo della Cassa integrazione dovrà essere rivisto da cima a fondo. Noi non possiamo più obbligare le aziende a trattenere alle loro dipendenze un numero di lavoratori che esorbita le loro possibilità produttive, né possiamo continuare a pretendere che la Cassa integrazione assista in via permanente i lavoratori eccedenti. Nel nostro documento si stabilisce che la Cassa assista i lavoratori per un anno e non oltre, salvo casi eccezionalissimi che debbono essere decisi di volta in volta dalle commissioni regionali di collocamento (delle quali fanno parte, oltre al sindacato, anche i datori di lavoro, le regioni, i comuni capoluogo). Insomma: mobilità effettiva della manodopera e fine del sistema del lavoro assistito in permanenza.”

Per maggior chiarezza aggiunse:

“Noi siamo tuttavia convinti che imporre alle aziende quote di manodopera eccedenti sia una politica suicida. L’economia italiana sta piegandosi sulle ginocchia anche a causa di questa politica. Perciò, sebbene nessuno quanto noi si renda conto della difficoltà del problema, riteniamo che le aziende, quando sia accertato il loro stato di crisi, abbiano il diritto di licenziare.”

Poche settimane dopo, a metà febbraio ci fu la famosa svolta dell’Eur. Si tenne una conferenza sindacale al palazzo dei congressi dell’Eur. La linea che ne scaturì s’imperniava su due elementi, la moderazione salariale e come contropartita un programma di investimenti per garantire l’occupazione. L’idea era che i maggiori sacrifici dei lavoratori avrebbero permesso ai padroni di accumulare il capitale necessario per gli investimenti.

I provvedimenti di “austerità” imposti dai governi prima del 1976 non erano bastati a difendere la lira che precipitava insieme ai titoli azionari. Nel 1975 l’inflazione toccava il 17,2 per cento ma l’anno successivo nel 1977 arrivava addirittura al 20,1 per cento.

I lavoratori subivano due pressioni, crescente disoccupazione e taglio del salario reale con un’inflazione che ormai superava di molto il 20% annuo.

Nella tornata dei rinnovi contrattuali dell’inverno ’78-79 nonostante la “linea di moderazione dell’Eur” ciascun sindacato di categoria, pressato dalla base, cercò un recupero salariale. Così i padroni si resero conto che il Pci ed i vertici sindacali non avevano la capacità di contenere le spinte dei lavoratori e decretarono defunta la linea dell’Eur. La conseguenza parlamentare fu l’uscita del Pci dal governo all’inizio del 1979.

Ciò rese necessario il ricorso alle elezioni anticipate, nelle quali il Pci subì un arretramento non indifferente, scendendo intorno al 30% del voto nelle elezioni di giugno. In un articolo apparso su la Repubblica del 7 giugno del 1979, Eugenio Scalfari cerca di spiegare cosa sia successo al voto comunista:

“Il Pci ha registrato perdite sensibili, mediamente quattro punti in percentuale, il che significa il 12 per cento del suo elettorato. In quali direzioni e con quali motivazioni?

“Una parte consistente del deflusso comunista si è certamente rifugiata nell’astensione e nella scheda bianca; un’altra parte, altrettanto consistente, è andata ad ingrossare il partito radicale; e una quota molto modesta (i numeri son lì a dirlo) si sarà travasata nel partito socialista che può dal canto suo aver ceduto voti alla socialdemocrazia.

“Queste essendo le direzioni del deflusso del Pci, è abbastanza facile individuare le ragioni dell’abbandono: la linea generale del partito comunista, di ‘appeasement’ verso la Dc, non ha incontrato il favore del 12 per cento degli elettori che il 20 giugno del ’76 lo avevano votato.

“Questi elettori volevano che il Pci si proponesse come alternativa alla Democrazia cristiana…”.

Si cominciò ad individuare nel Compromesso Storico le ragioni di questa sconfitta, tanto che perfino Berlinguer fu costretto a parlare di Alternativa alla Dc. Nel XVI congresso del Pci, nel marzo del 1983, Berlinguer spiegava che: “L’alternativa democratica, infatti, è una alternativa alla Dc e al suo sistema di potere…”

Era un cambio non indifferente nel linguaggio dei vertici del Pci. È vero che subito dopo quelle parole Berlinguer aggiungeva che la nuova linea non escludeva “convergenze per obiettivi determinanti”, ma la cosa importante da capire era che i vertici del Pci erano stati costretti a cambiare linea, seppur a parole per andare incontro alle critiche che venivano dalla base.

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5 risposte a La politica dei “sacrifici” e la “svolta dell’Eur” 1977-78 – Intervista di Lama

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  3. marco ha detto:

    spesso ci capita di ricordare ai compagni più giovani che c’è un filo rosso lungo 40anni che collega il presente con il passato, ci capita di dire che, per esempio il PD non è nient’altro che l’evoluzione storica di quel PCI del compromesso storico e della politica dei sacrifici… Ma non troppo spesso purtroppo si riesce a tessere la trama della memoria che tante lezioni ci può dare in questo momento, come dire ?… pre-marxista.

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