Riflessioni a 40 anni dall’11 settembre 1973: il golpe fascista in Cile

In questi giorni in Cile:

Santiago del Cile 5 sett.– 80.000 studenti cileni hanno manifestato la settimana prima della ricorrenza del golpe fascista, per chiedere la riforma del sistema educativo che è ancora quello istituito dalla dittatura di Augusto Pinochet. I manifestanti urlavano per “la fine dell’educazione del tiranno”. Agli studenti si sono uniti professori, operai, pensionati. I manifestanti si sono dati appuntamento a Plaza Italia. Dopo dopo la partenza del corteo la polizia ha attaccato. Il comportamento della polizia, e gli interventi dei rappresentanti dei movimenti presenti in piazza hanno messo in luce un paese caratterizzato da profonde disuguaglianze sociali, e che solo da poco ha iniziato a fare i conti con il suo recente passato”, ma solo a parole, per ora!
Santiago del Cile 8 sett- Più di 30 mila persone hanno attraversato Santiago del Cile in una manifestazione per ricordare le vittime del golpe militare di 40 anni fa, marcia conclusa nel Cimitero Generale della città, dove riposa il presidente Salvador Allende. Il ricordo di Allende, che secondo la versione ufficiale è morto suicida il giorno del golpe, l’11 settembre del ’73, è stato al centro degli slogan e di molti dei murales che sono stati dipinti in nove punti diversi del percorso della marcia. (ANSA)
Santiago del Cile 8 sett- L’attacco di un gruppo di antagonisti ad una banca nel centro di Santiago ha scatenato ieri nuovi incidenti durante la manifestazione per commemorare le vittime del colpo di Stato perpetrato dal generale Augusto Pinochet, l’11 settembre del 1943. Dopo un primo intervento per controllare il fuoco scatenato nella banca dagli antagonisti, le forze di polizia hanno continuato ad infierire sul corteo, composto in realtà dalle più diverse realtà della sinistra cilena.

cile_1Sul golpe vedi i precedenti Post qui e qui

Riporto una pagina scritta sul libro Maelstrom, di riflessioni sul golpe in Cile, perché, secondo me, è una riflessione utile oggi.

Le riflessioni sul golpe in Cile – Il golpe in Cile provocò un grosso dibattito nel movimento [in quel 1973]. Il Cile era un paese simile all’Italia, di antica tradizione democratica, con le forze armate da secoli lealiste e una società civile articolata. La divisione in classi era l’elemento che sfuggiva ai più, anche ai compagni.

In molti settori di movimento si metteva in risalto il ruolo dell’imperialismo statunitense, a tal punto da far velo alla lotta tra le classi e al loro antagonismo oggettivo di fronte a un progetto di trasformazione sociale. Può sembrare strano che dei comunisti dimentichino l’esistenza delle classi, eppure succede quando si attribuisce eccessivo potere alla potenza egemone del sistema imperialista, in quel caso gli Usa, dimenticando che l’imperialismo è un sistema economico-politico alla cui base ci sono, appunto, le classi sociali.

Contro la trasformazione sociale proposta da Unidad popular si scagliarono le classi sociali abbienti per schiacciare quel timido tentativo di potere popolare che si articolava intorno ai «cordones». Si accese una lotta di classe dura e violenta; le classi proprietarie, dopo aver deteriorato la situazione economica cilena, in combutta con le multinazionali statunitensi misero fine, con un massacro, al tentativo di Unidad popular. Non bisogna dimenticare i «cacerolazos» delle signore della buona borghesia cilena, il boicottaggio dei professionisti e delle banche, lo sciopero dei padroncini degli automezzi contro le nazionalizzazioni.

La confusione su popoli, classi e imperialismo è rimasta fino a oggi. Era invece diventata consapevolezza unanime l’impossibilità della via pacifica, elettorale, al socialismo.

La sua sorte [di Allende] testimonia tragicamente che la ragione contro la forza è vana. Unire, nella lotta proletaria, forza e ragione…[«Lotta continua», 13 settembre 1973].

Paradossalmente, anche il Pci si trovò d’accordo nel ritenere non decisiva la via elettorale, Enrico Berlinguer lo scrisse su «Rinascita»:

La spaccatura in due del paese non solo non sarebbe utile, ma sarebbe fatale. Di qui la necessità di un grande «compromesso storico», di una nuova intesa tra le forze fondamentali del movimento popolare italiano.

Dalla tragedia cilena capimmo le gravi responsabilità dei partiti riformisti che, non avendo dato fiducia alle masse proletarie che chiedevano armi per difendere quel percorso di trasformazione sociale, riposero fiducia nelle istituzioni rendendosi responsabili del massacro. Gli slogan chiarivano il nostro pensiero: «Cile, Cile, mai più senza fucile!».

Il movimento si mobilitò in appoggio alla Resistenza armata del Movimiento de Izquierda Revolucionaria (Mir), con aiuti alla Resistenza ma anche con numerose azioni contro le multinazionali compromesse con il Golpe, come l’International Telephone and Telegraph (Itt). Il 6 ottobre ’74, il mese in cui fu ucciso Manuel Rodriguez, dirigente del Mir, venne distrutto il magazzino dei prodotti finiti della Face Standard di proprietà dell’Itt, la multinazionale statunitense delle telecomunicazioni. L’azione venne rivendicata dall’Autonomia milanese.

La direzione delle Fs il 7 novembre ’73 rispondeva con la repressione alle mobilitazioni dei ferrovieri negli impianti ferroviari che lanciavano la sottoscrizione «armi al Mir»:

cile_3Per impedire «la propaganda politica mediante l’affissione di manifesti o giornali, soprattutto di gruppi extraparlamentari, a rimuovere le affissioni e individuare i responsabili, eventualmente con l’ausilio della Polfer».

[da Maelstrom, Derive Approdi 2011 Pag. 322 seg.]

La presenza e le responsabilità degli Usa, per mezzo dei servizi, nel golpe cileno sono chiare, così come in altri scenari mondiali. Tuttavia questa presenza fa spesso dimenticare che, alla base dei conflitti acuti che determinano percorsi di rivoluzione e controrivoluzione, ci sono le classi sociali, tra cui, quelle possidenti che difendono con le unghie e con i denti i propri interessi, quando questi vengono messi in discussioni. È strano che tra compagne e compagni si dimentichi l’importante pagine del più forte e organizzato movimento operaio del secolo scorso quello in Germania nel primo dopoguerra. Non ci fu nessun intervento straniero in quegli anni Venti e Trenta, il movimento operaio rivoluzionario tentò con tutti i mezzi di conquistare il potere. Dall’altra parte, i capitalisti con la grande borghesia e il ceto medio sono stati capaci, utilizzando i corrotti vertici socialdemocratici (che già avevano appoggiato il capitale con l’adesione alla guerra), in un primo tempo di frenare e ostacolare il percorso rivoluzionario per poi scatenare, col nazismo, il più feroce massacro fisico e politico del movimento operaio organizzato.

Occhio alle classi. Spesso il nemico non è lontano…   il nemico principale si trova nel proprio paese! (Karl Liebneckt)

Sulla fallita rivoluzione tedesca del 1918-19 vedi qui, qui, qui e qui

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