Carcere di Ancona, 18 agosto 1971.
Oggi ho finito di leggere “I fratelli di Soledad” di George Jackson. La sua analisi sociale, la sua esperienza umana di ieri e oggi, la sua fede per la rivoluzione è qualcosa di veramente rivoluzionario. Viviamo gli stessi problemi, lottiamo contro un comune nemico, tentiamo di sottrarci alla morsa d’acciaio e filo spinato che tortura le nostre carni fin dall’infanzia, ci identifichiamo nel popolo, poiché siamo del popolo e vogliamo che al popolo, ad ogni individuo sia dato la possibilità di autodeterminarsi. La routine quotidiana a cui sono condizionato è lungi da essere per me condizione di apatia, di essere: sono vivo e combattivo. Ho la mente rivoluzionaria. Ho rifiutato, attraverso l’identificazione popolare, cioè attraverso la mia vera identità umana, di subire un ruolo in questa società in funzione di schiavo economico, di eterno salariato, sfruttato dai pochi che hanno recintato con il filo spinato, i carri armati, le bombe H ed eserciti di poliziotti le nostre fabbriche, le nostre terre, subordinando le nostre esistenze agli attrezzi che ci affittano o che ci permettono di vivere, cioè lavorare per mangiare e anche per i loro privilegi. Ma solo che ora la consapevolezza di noi proletari è tale che all’ingordo maiale sarà tolto il mal tolto e distribuito a tutto il popolo per una eguale spartizione dei beni comuni secondo la formula “a ciascun o secondo le proprie necessità”. Si è tentato e ritenta di fare di me un “essere non sociale”, un involucro non pensante (poiché non mi hanno mai insegnato a pensare un solo momento nella mia funzione sociale, nella mia responsabilizzazione sociale, nel rapporto con i miei simili che non fosse in termini individuali). Sono stati indubbiamente forti. Ho tentato di prendere con la forza uno dei loro caschi modello che mai riuscivo a prendere “legalmente”. Sono stato capofamiglia a quattordici anni perché già da quell’età ero sfruttato in fabbrica. Non solo i loro modelli sociali sono falsi ma anche mistificati, per gli allocchi come me che ci sono cascato come un fesso perché ero fesso. Ti dico che erano forti se riuscivano a tenerci uniti – relegati – separati, cioè movendo fili atavici, metafisici per perpetuare le nostre contraddizioni che loro sfruttavano, e cercano ancora di sfruttare, assumendo una posizione di bonario e benevolo grande-padre. Noi dobbiamo chiarire una volta per sempre il nostro rapporto con loro: non abbiamo e non vogliamo aver niente a che fare con loro; vogliamo autodeterminarci a vivere secondo natura, cioè dando al popolo il potere per un libero sviluppo di ogni individuo. Se ciò non è consentito di fare, otterremo tutto ciò con la rivoluzione. L’unica e ultima alternativa esistenziale per tutti i popoli della terra è l’autodeterminazione rivoluzionaria. Io voglio farla finita di essere mangiato dai cannibali capitalisti, come mio padre, i miei avi, non starò a subire e a osservare che si faccia scempio della mia vita.
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Volantino dei detenuti del secondo raggio di San Vittore ai compagni studenti.
Milano, 14 ottobre 1971.
Compagni studenti,
attraverso la stampa borghese abbiamo seguito la lotta degli studenti del Manzoni contro i fascisti di Ordine Nuovo, e grande è stato lo sdegno per l’atto incivile e tipicamente fascista di usare il coltello contro studenti indifesi. Sinora abbiamo dovuto sopportare la presenza di quei fascisti, pochi per la verità, che venivano fermati e condotti qui a San Vittore, dove trovavano un breve e comodo riposo. Ma oggi qualcosa è cambiato. I detenuti sensibilizzati da un gruppo di compagni “sottoproletari” hanno analizzato la posizione politica di certi gruppi e hanno riconosciuto chi realmente svolge una politica a nostro favore e chi si è reso odioso, ai nostri occhi, con tutta una montatura della stampa borghese ai nostri danni. Molte lotte sono state condotte qui e in tutte le carceri italiane per la conquista di un codice e di un trattamento più consono ai tempi; lotte che si sono sempre concluse con spietata repressione, con condanne altissime (a Torino recentemente sono stati inflitti otto anni di carcere a diversi detenuti per una delle ultime rivolte!) trasferimenti lontani dalle famiglie, nelle isole, e ogni sorta di vessazioni. Quindi noi che siamo le prime vittime di un codice penale che si poggia su basi di idee storicamente morte, non possiamo tollerare la presenza nel carcere di elementi che vorrebbero un “ordine” tipo Grecia, Spagna e Portogallo! È per questo che i sottoproletari del secondo raggio in San Vittore, con l’“appoggio morale” degli altri raggi, hanno deciso l’espulsione dei cinque accoltellatori del Manzoni: Benedetto Tusi, Piero Battiston, Carlo Levati, Giancarlo Rognoni, e Mario Di Giovanni. Costoro per non subire l’ira dei detenuti hanno chiesto alla direzione di essere “isolati” nelle celle di punizione. Se i compagni lavoratori hanno deciso che per il fascismo non c’è più posto nelle fabbriche… se i compagni universitari hanno deciso che per il fascismo non c’è più posto nelle università… se i compagni studenti hanno deciso che per il fascismo non c’è più posto nelle scuole… noi, compagni sottoproletari, decidiamo che per il fascismo non c’è più posto nelle carceri!!! Sia ben chiaro per tutti i “fascistelli”, in carcere non c’è più tregua, in carcere troveranno pane per i loro denti. È un avvertimento “fraterno” che diamo loro… Notoriamente siamo di poche parole e di tanti fatti, sapete, tra di noi ci sono pochi… intellettuali! Qui non troveranno la connivenza con magistrati che con molta sollecitudine firmano mandati di scarcerazione per chi accoltella dei ragazzi, mentre lo rifiutano a gente che, spinta da un “sistema” errato, ruba poche lire e per questo viene duramente condannato. Ma anche per i nostri “cinque eroi” è giunto il provvidenziale foglio di scarcerazione… tuttavia lo dicano pure ai loro mandanti, il carcere è oggi un luogo di crescita politica e per loro non c’è spazio. […]. Rivolgiamo un saluto a tutti gli studenti e un augurio ai compagni feriti, a voi compagni la nostra ammirazione per come portate avanti le vostre lotte, sperando che ci sia posto per una serena discussione sul carcere e sui nostri irrisolti problemi che sono effettivamente gravi. Tantissimi di noi vi salutano a pugno chiuso.