Le richieste dei detenuti: 1971

Documento dello  sciopero della  fame dei detenuti di San Vittore.

Aprile 1971.

Le  lotte  dei  compagni  delle  Nuove  di  Torino  e  di tutta  la popolazione  detenuta  nelle carceri  servono  a  riproporre ancora  una  volta  la  nostra  drammatica condizione,  i  motivi che la generano, i motivi per cui siamo detenuti.

Da che cosa  ha  origine  la cosiddetta  delinquenza?  Da  un cromosoma  in più oppure  da cause  sociali  come  la diseguaglianza economica,  culturale,  sociale?  È  questa società stessa che genera il crimine e le carceri che servono a riprodurlo  e  specializzarlo  (la  metà  della  popolazione carceraria è costituita  da  recidivi  e  si  vuol  farli  “detenuti  a vita”).

“Chi  sono i detenuti?” Sono i proletari e sottoproletari che per  sfuggire alla  loro  condizione  di  disoccupazione  o sottoccupazione,  costretti  a cercare  un  lavoro nelle  grandi città,  sottoposti  alle  spinte  del  “benessere”,  ne  vengono cacciati indietro, esclusi, e non hanno altra strada (di fronte a un lavoro che è schiavitù, supersfruttamento, alienazione) che infrangere le leggi dei padroni che i padroni hanno approntato per difendere i loro beni.

Detenuti  sono  anche  gli  studenti,  gli  operai  e  tutti  coloro che lottano per cambiare questo stato di cose. Perché non si cerca di risalire alle origini del male? Perché questo  significherebbe ammettere che  il  colpevole  non  è  il ladro o  il  rapinatore,  colpevole è  questa  società  di disuguaglianza che crea il ladro o il rapinatore. I  giornali  se  la  prendono  sempre con  la “malvagità”,  la “cattiveria”, la “pazzia” dell’individuo che infrange la legge e mai  si  preoccupano di  parlare  della  sua  personalità, delle condizioni familiari, dell’ambiente sociale in cui vive, parlare di queste cose sarebbe un atto di accusa contro la società che divide  gli  uomini tra chi  è  privilegiato  e  istruito  e chi  è povero e privo di istruzione.

In  realtà,  la  stampa e  i  giornalisti,  fedeli  esecutori  degli interessi  delle classi  privilegiate,  conducendo  forsennate campagne  (in particolar  modo  in questo periodo)  contro  la cosiddetta criminalità, si propongono di allarmare, diffondere un senso di insicurezza, di panico, nell’opinione pubblica. Per spingerla a invocare il  rafforzamento della  polizia e  del  suo armamento  (si  parla  di  dotare addirittura  le  pattuglie  della volante  di  “mitragliatrici”)  e  in definitiva  di  arrivare progressivamente allo stato poliziesco.  Questa campagna  serve anche  per  coprire  le  grosse responsabilità  della classe al  potere,  che in venticinque anni non è  riuscita a  realizzare la  riforma del codice e carceraria, tenendo in vigore il codice fascista Rocco del 1929.

“A cosa serve il carcere?”

Nei fatti oggi è un brutale strumento a carattere unicamente repressivo,  esclusivo,  e  terroristicamente  punitivo.  L’uomo nel  carcere  non  è  più  tale,  ridotto  alla condizione  di miserevole  oggetto,  completamente  plagiato,  annientato, esasperato,  la  sua  personalità annullata.  Ridotta a completa soggezione fisica e mentale. “Tutto il discorso sulla “rieducazione” è una truffa”: qual è allora l’effetto del carcere sul detenuto? Il carcere è una vera “università  del  delitto”  mantenuta  dallo  stato,  educa all’egoismo,  all’individualismo,  ad  essere  ruffiani,  spie, lacchè,  a  tradire  i  propri  compagni,  a  leccare  i  piedi  alle autorità,  all’alcoolismo  e all’uso della  droga.  Al  detenuto vengono negati i diritti fisiologici  e  sessuali  che  non vengono negati  neppure agli animali,  rendono perciò vittime  della  stessa  repressione  le mogli e le fidanzate.

“Noi  detenuti  denunciamo”  la  vergogna  della sopravvivenza  del  codice  fascista “Rocco” che  venne promulgato  in  momenti in  cui  “Mussolini”  voleva consolidare  il  potere  dittatoriale  del  fascismo,  costituiva  già allora  un passo  indietro  rispetto  al  codice  liberale “Zanardelli”.   “Noi vogliamo l’abolizione” in blocco, non un rifacimento, del codice Rocco, e lo vogliamo tanto più pressantemente in quanto  sperimentiamo quotidianamente  sulla  nostra  pelle  le conseguenze aberranti  della  sua applicazione.  Ne  vogliamo l’abolizione anche  perché è  in  antitesi  con la  Costituzione nata  dalla  vittoria  sul  fascismo nonché con la  Convenzione internazionale  dei  Diritti  dell’Uomo, oltre che  non rispecchiare  lo  spirito di  maturità e  progressista  della  realtà sociale italiana.  Se  da  venticinque anni  non  si  è  provveduto ad  abrogare  il  codice  Rocco non  è  perché  sia  mancato  il tempo necessario ma solo per una precisa volontà politica di mantenerlo  in vigore al  fine  di  utilizzare  gli  aspetti  più repressivi, soprattutto contro le lotte popolari. Tutti i partiti se ne sono fregati e se ne fregano, parlano di riforme  del  codice  solo  in periodo  elettorale  per opportunismo, e sotto la spinta di sanguinose rivolte. Una  volta  per  tutte  vogliamo parlare chiaro.  “Queste che seguono  sono  le esigenze  più  elementari,  pressanti, irrimediabili”:

1)  “Abolizione  della carcerazione  preventiva”  (a  parole l’imputato  è  innocente  fino  a che  la condanna  non  è definitiva. Nei fatti però viene sbattuto in galera e ci rimane a volte  per  anni  non  “a  disposizione  della  giustizia”  bensì  a scontare  duramente  una  pena che  nessuno gli  ha ancora assegnato:  ricordiamoci  che  la  metà  dei detenuti  è  poi riconosciuta  innocente!  La carcerazione  preventiva è patrimonio dei  regimi autoritari, come il Portogallo, Spagna, Grecia).

2)  “Limitazione  della  durata  dell’istruttoria”  (basta con  le istruttorie che  durano  sei  mesi,  un  anno,  due anni!  le scartoffie  nei tribunali  e  i  detenuti  si  accumulano nelle carceri. La  polizia  ha tutto il tempo per inventare  prove. La lunga  durata dell’istruttoria  serve a condannare  di  fatto detenuti che sono ancora oggetto di giudizio).

3) “Trasformazione tempestiva del processo da inquisitorio ad  accusatorio.  E abolizione  del  segreto  istruttorio”.  Con esibizione immediata  delle  prove a carico  e  quindi parità  di diritti  effettivi tra accusa e  difesa,  come  nel  sistema anglosassone.

4)  “Abolizione  della chiamata  di  correo”  (è  il  principale strumento di  ricatto nell’indagine  di  polizia;  spesso  è  più comodo per  la  polizia  trovare  un  colpevole  qualunque piuttosto  che  il  vero  colpevole.  In paesi  come  l’Inghilterra, l’Olanda,  eccetera,  non  assume  valore  di  prova,  mentre è adottata nei paesi fascisti come Spagna, Portogallo, Grecia).

5) “Abolizione  della  recidiva”  (è  sufficiente  spesso  a  farci condannare.  Visto  che  il  problema è  trovare  il  colpevole  la cosa più comoda per la polizia è di trovarlo tra i recidivi. È sommamente ingiusto che uno abbia un aumento di pena perché  recidivo,  dal  momento  che  ha  già  scontato  la  pena inflittagli per il reato commesso in precedenza).

6) “Abolizione delle case di lavoro” (è il più tipico residuo del  retaggio  fascista: in  realtà è  di  fatto una aggiunta arbitraria alla  pena  stabilita  dal  codice.  Inoltre il reinserimento nel lavoro deve avvenire in  fabbrica e  non in stato di reclusione).

7) “Abolizione del confino e delle misure di sorveglianza” (strumento di  ricatto poliziesco  e anticostituzionale  perché contro  le  garanzie  di libertà  di  movimento  all’interno del territorio).

8) “Abolizione dei reati di oltraggio e resistenza a  pubblico ufficiale”  (in  realtà  sono sempre i poliziotti a oltraggiare e a minacciare impunemente  senza essere  poi perseguiti.  Anche questa è una norma in vigore solo nei paesi fascisti).

9)  “Abolizione  dei  reati  di  stampa e  d’opinione”  (che contrastano  con  la  libertà d’espressione  garantita  dalla Costituzione).

10)  “Regolamentazione  degli  articoli  concernenti il  furto” (il furto è il tipico e più diffuso reato contro il patrimonio. Il codice non fa distinzione fra chi ruba una mela e chi ruba un milione.  Il furto  semplice  di  fatto non viene applicato  mai perché il giudice trova sempre aggravanti).

11)  “Distinzione  tra consumo  e  spaccio di  stupefacenti” (non più  incarcerazione  per  i  consumatori  ma creazione  di centri di disintossicazione).

12)  “Diritto  effettivo  alla  difesa  gratuita”  (è  ora  di  finirla con  la  funzione  della “difesa”  d’ufficio  che  serve  non  a difendere ma a discriminare tra ricchi e poveri).

13) “Abolizione dello sfruttamento del lavoro nelle carceri” (attualmente esiste  nelle carceri  un  sistema di  sfruttamento del lavoro di tipo  coloniale,  con  rimunerazione  da  10  a 15.000  al  mese,  insufficienti  a  soddisfare  i  bisogni  più elementari,  ad assistere  finanziariamente  i  propri  familiari causa  questa  di  veri e  propri  drammi. Chiediamo paghe  non inferiori  ai  due  terzi  delle  tariffe  sindacali,  e che  il lavoro permetta al  detenuto  lavoratore  una  formazione e qualificazione professionale).

14)  “Funzionale  servizio di  assistenza  per  i  familiari  dei detenuti”  direttamente controllato dagli interessati,  ma che non  sia affidato  ad istituzioni  religiose in quanto,  di tutte le donazioni e beneficenze, non viene mai consegnato altro che le caramelle a Natale.

15)  “Estensione  del  permesso di  colloquio  ad  amici  e conoscenti” e prolungamento della durata dello stesso poiché venti  minuti  sono  troppo pochi  specialmente  se  le  famiglie risiedono in località lontane.

16) “Abolizione delle celle di punizione e letto di forza”.

17) “Istituzione dei consigli di rappresentanza” dei detenuti aventi  funzione consultiva  di  portavoce  della  volontà  delle popolazioni carcerarie e di contrattazione  nei confronti  delle direzioni.

18) “Abolizione della censura” sulla corrispondenza e libera circolazione  di  stampa e  letteratura  varia.  Il  detenuto ha  il diritto di  accrescere  il  suo bagaglio  culturale attingendo  a qualsiasi fonte senza alcuna limitazione.

19)  “Possibilità  di  avere  periodicamente  rapporti  sessuali” (con donne,  perché  la  repressione  forzata  di  queste energie vitali  è  una  delle  principali  fonti  di  degradazioni  morali  e fisiche  e causa  di  squilibri  profondi, difficilmente rimarginabili).

20)  “Responsabilizzare  penalmente  i  magistrati”  (quando un  ingegnere  sbaglia  i  calcoli  di  una  progettazione  viene denunciato  e  processato,  quando un  medico  sbaglia un’operazione e  il  paziente  muore  viene  perseguito penalmente:  perché  quando un giudice  sbaglia  non viene processato?  Noi  non  crediamo nell’infallibilità  del  giudice: pertanto  chiediamo  che  il  suo operato  sia  vincolato  come quello di qualsiasi professionista perché egli decide la nostra sorte. È ora di finirla con l’intangibilità del magistrato: d’ora in poi se sbaglia deve pagare come qualsiasi altro cittadino!)

21)  “Nei  processi  chiediamo  che  vengano  esaminati”,  e tenuti in debito conto nel giudizio, non solo gli aspetti tecnici ma  soprattutto  le cause economiche,  sociali,  i  fattori ambientali in cui l’imputato si è trovato ad agire.

22)  “Chiediamo vengano  aboliti,  o  ridotti  al  minimo,  i poteri  discrezionali  del  giudice”  democratizzando  il  suo operato,  in quanto  tali  poteri  finiscono per  essere applicati quasi  sempre arbitrariamente,  e  sempre a sfavore dell’imputato.

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