Dopo il 13 novembre. Riflettiamo!

Undici giorni sono passati da quel 13 novembre 2015 quando un piacevole sabato sera parigino è stato sconvolto da numerosi attentati con 130 morti e numerosissimi feriti.

Scemate le consuete giaculatorie dei media e dei politici, allarmi parossistici, chiacchiere inutili sempre più condite di razzismo e xenofobia squallida e ignorante, proviamo a riflettere su quello che questa tragedia può insegnarci.

Ma come! – diranno i più – c’è bisogno di una tragedia col suo portato di morte e sangue per imparare qualcosa? Evidentemente si! Questo ci insegna la storia dell’umanità; ne è prova la letteratura sviluppatasi intorno alle tragedie, e non solo, eccezionali quelle greche, che sono lì a ricordarcelo.

Oggi alcune cose sono chiare, senza far ricorso ad analisi elaborate e dotte, gli stessi protagonisti le hanno affermate:

-Chi finanza e arma Isis?

Inizialmente sono state le Fondazioni saudite e dei paesi del Golfo, poi la Turchia, la GB e gli Usa con armi inviate e commercio del petrolio dai pozzi occupati da Isis, in particolare acquistato dalla Turchia che ha offerto protezione e appoggio chiedendo in cambio lo sterminio delle popolazioni curde nelle regioni siriane e irachene.

Nella guerra civile in Siria ormai le forze in campo sono due: Assad col suo esercito e l’Isis o Daesh con le sue armate. Ai confini siriani con la Turchia ci sono regioni curde, come Rojava, che stanno costruendo progetti interessanti ma che non hanno la forza di orientare la guerra siriana.

Tra Assad e Daesh non ci sono altre forze intermedie consistenti che pure c’erano all’inizio, c’è però la popolazione civile che subisce massacri da entrambi gli eserciti. A questo punto le cosiddette forze della “grande coalizione” (in via di costruzione?) o si concentreranno per distruggere l’Isis, oppure propenderanno per una soluzione negoziale e quindi per portare al tavolo delle trattative Isis come Stato e quindi riconoscerlo. Ed è questo il vero obiettivo del comando militare di Isis: non interessa loro occupare l’Europa, né islamizzare l’occidente. Per ora vogliono insediarsi potentemente nel centro della “mezzaluna fertile” (nell’area Iraq-Siria), per poi espandersi. Gli ultimi attentati (Beirut, aereo russo, Parigi) hanno come obiettivo convincere gli stati che non sono d’accordo, a riconoscere lo stato islamico.

Dunque, o si attacca l’Isis per distruggerlo oppure ci si accorda e lo si riconosce.

Una terza via al momento non c’è.

Mia modesta opinione è quella di non parteggiare per nessuna delle due parti. Ma costruire una forza sociale rivoluzionaria internazionale in questa addormentata parte del mondo.

Come si collocano le “potenze”? La Russia di Putin sta con Assad ed è presente con consulenti, tecnici e investimenti in Siria; gli Usa, con il loro silenzioso accordo hanno permesso per anni l’espansione e le conquiste di Isis. Per loro stessa ammissione foraggiano e armano Isis attraverso i propri alleati: Arabia Saudita, Quatar, paesi del Golfo, Turchia (nel G.20 del 15 novembre scorso qualcuno ha diffuso foto satellitari in cui mezzi della Turchia prelevano il petrolio nei territori occupati da Isis) e tanti altri; l’Italia in questi giorni sta inviando in Arabia Saudita carichi di bombe, 4 Tir (Il Tirreno 22 Nov 2015), che verranno usati per bombardare la popolazione yemenita, probabilmente arriveranno anche al Daesh. Nessuno di questi vuole combattere realmente Daesh. Anche l’Europa, con esclusione della Francia, è propensa a una conclusione negoziale, di fatto a un riconoscimento dell’Isis. Obama, su indicazione del Pentagono, ha criticato la Russia perché bombardava gli oppositori di Assad, ossia Isis e loro alleati. Dunque gli Usa difendono Isis! È un fatto. Che pena, sul piano umano, immaginare cittadini statunitensi che hanno avuto una vittima nel massacro delle Torri del 2001 e oggi ingoiare il rospo del loro governo che appoggia gli assassini delle Torri nella nuova veste, Isis, Arabia Saudita, Petromonarchie, Turchia (che ha abbattuto un aereo russo stamattina 24 novembre, perché volava sui cieli della Siria, secondo Mosca)- e criminali vari, inviando loro armi a profusione.

Poiché Usa e Turchia sono paesi importanti nella Nato, va da se che la Nato è alleata di Isis. Dunque se c’è pericolo che il terrorismo attenti la nostra sicurezza, questo pericolo non può che provenire da nostri alleati. Sarebbe da ridere se non ci fossero di mezzo morti e distruzioni.

Questo quadro è valido sino ad oggi, ma è suscettibile di cambiamenti, le forze in gioco sono tante, e tante anche le contraddizioni; questo quadro può cambiare e cambierà, ma non sappiamo come.

I combattenti di Isis dove vengono arruolati? La religione, la teologia, i comandamenti e i testi sacri, non c’entrano nulla con questa esplosione di “terrorismo”. Chi pensa questo dimostra la stessa stupidità di quelli che volevano cercare nel Vangelo e nella teologia cristiana la spiegazione dei massacri, molto più sanguinosi, prodottosi in Europa nel XVI e XVII secolo e definite con faciloneria, “guerre di religioni”, il cui motivo reale affondava nello scontro per il predominio geopolitico, colonialista, commerciale e di sviluppo capitalistico.

I combattenti delle bande Isis vengono reclutati tra le fasce più povere e diseredate, quelle emarginate che vedono peggiorare continuamente le loro condizioni di vita nelle periferie delle metropoli occidentali o in quelle, ancor più degradate, dei paesi poveri. Causa del malessere crescente è l’abbattimento del welfare e delle spese sociali, l’aumento della disoccupazione e della vita, l’impossibilità di vivere.

Fiumi di inchiostro, una giostra di manipolazioni su religione, teologie, culture e civiltà in scontro tra loro … poi, le inchieste ci hanno dimostrato che gli “attentatori”, sospettati o reali, provengono dalle periferie, dalle carceri… insomma sono gli ultimi, i perdenti, i disperati, appartenenti a quelle classi sociali che hanno tentato molte strade di riscatto, ma sempre sul fondo sono restati e sempre peggio. Ripercorriamo le attività di queste persone nelle periferie devastate grazie alle aggressioni di privati e di multinazionali assetate di sfruttamento di territori realizzato con l’appoggio dei governi.

Le storie dei tanti proletari e sottoproletari, dei poveri, degli ultimi che popolano questa terra devono essere conosciute nel loro svolgersi, nella loro intrigata articolazione, nelle opportunità non colte, nelle scelte, nei fallimenti, nell’assenza di una prospettiva di lotta organizzata tesa al cambiamento del quadro economico e politico complessivo. Ciascuna biografia ha un valore immenso per capire ciò che succede e quello che può succedere in questo mondo. Non si può ignorare.

… hanno cercato un lavoro, si sono battuti contro la disoccupazione e contro l’aumento del costo della vita. Nelle periferie, nelle banlieue, vivere non è facile. Si vive male, le condizioni di vita sono sempre state dure e gravose. Tuttavia quei proletari, per combattere le avversità e lo sfruttamento crescente, hanno costruito, nel tempo, i propri strumenti di lotta: sindacati, comitati, assemblee, consigli, manifestazioni, ecc., e con questi si sono organizzati, hanno lottato e, con tutte le difficoltà, hanno fatto dei passi avanti, ma hanno ricevuto solo repressione, galera e pure insulti. E la loro condizione continua a peggiorare.

Ecco le loro parole. Dieci anni fa:

14 nov 2005 – Comunicato del MIB, Mouvement de l’Immigration et des Banlieues (organizzazione fondata nel 1995)

«Crepate in Pace fratelli miei, ma crepate in silenzio, che non si percepisca se non la lontana eco delle vostre sofferenze…»
Coloro che non comprendono oggi le cause delle sommosse sono amnesiaci, ciechi o entrambe le cose. Infatti sono 30 anni che le banlieues reclamano giustizia. 25 anni in cui rivolte, sommosse, manifestazioni, Marce, riunioni pubbliche, crisi di collera con rivendicazioni precise sono state formulate.
Già 15 anni che il Ministero della Città è stato creato per rispondere all’esclusione e alla miseria sociale dei quartieri detti sfavoriti. I Ministri passano con i loro pacchi di promesse: Piano Marshall, Zone franche, DSQ, ZEP, ZUP, Emploi-Jeunes, Cohésion Sociale, etc… La banlieue serve da passerella per ministri, eletti e media ammalati di piccole frasi assassine sulle «zone di non-diritto», «i parenti irresponsabili», la
mafizzazione e altre «derive islamiste».
Le/Gli abitanti dei quartieri e in particolare i giovani vengono stigmatizzati e designati come responsabili di tutte le derive della nostra società. Non costa poi caro dare lezioni di civismo e mostrare a dito le «canaglie» o i «selvaggi» dandoli in pasto alla vendetta popolare. E può fruttare molto. Le banlieues diventano una problematica a parte, di cui si affida la gestione alla polizia e alla giustizia. Oggi, ci vengono presentati questi «giovani di banlieue» (sottinteso questi neri e questi arabi) che bruciano come stranieri venuti a fare bordello in Francia.
Perciò dalle Minguettes (1981) a Vaulx-en-Velin (1990), da Mantes-la-Jolie (1991) a Sartrouville (1991), da Dammarie-les-Lys (1997) a Toulouse (1998), da Lille (2000) a Clichy, il messaggio è chiaro: basta coi crimini polizieschi impuniti, basta coi controlli sommari, basta con le scuole fogna, basta con la disoccupazione programmata, basta con gli alloggi insalubri, basta con le prigioni, basta con l’arroganza e le umiliazioni! Basta anche con le giustizie parallele che proteggono gli uomini politici corrotti e che condannano sistematicamente i più deboli.
Queste crisi sono state ignorate o nascoste.
Come sono sempre nascoste le sofferenze silenziose di milioni di famiglie, di uomini e di donne, che subiscono quotidianamente violenze sociali ben più devastatrici d’una vettura che brucia. Attraverso il coprifuoco, il governo vi risponde con la punizione collettive e una legge d’eccezione che dà i pieni poteri alla polizia. Si mette il coperchio sulla pentola e questo segnerà per molto tempo le memorie dei nostri quartieri.
Non ci sarà mai pace nei nostri quartieri finché non ci sarà giustizia e reale uguaglianza.
Nessuna pacificazione né alcun coprifuoco ci impediranno di continuare a batterci per questo, anche dopo che le telecamere si saranno spente…
NESSUNA GIUSTIZIA, NESSUNA PACE!» 

Poco prima dei disordini, Sarkozy aveva promesso ai residenti di “sbarazzarsi della feccia”, “debarrasser de la racaille”. Era il 26 ottobre 2005

Così la “feccia” senza nessuno strumento per vertenze rivendicative, distrutti dalla repressione, di fronte all’imperversare della crisi che massacrava ulteriormente le condizioni di vita e di lavoro, questi settori proletari non hanno avuto alternative se non riprendere spontaneamente le proteste. I tumulti e le rivolte sono dilagate nelle periferie di tutte le città europee e non-europee. La risposta degli stati, la solita: manganellate, arresti, teste spaccate, regole sempre più repressive prodotte sotto l’allarme dell’emergenza.

È questo l’ambiente dove, facendo appello a questa disperazione, ha fatto adepti anche Isis.

Da dove vengono dunque? Lo dicevamo già dopo la strage a Charlie Hebdo, (vedi qui ). Poi le indagini l‘hanno detto esplicitamente “Oltre al proselitismo via internet, il principale canale di reclutamento dei terroristi fai da te, i nuovi centri di indottrinamento e reclutamento dei candidati jihadisti sono le carceri. Non più, dunque, le moschee o i centri islamici più radicali, perché troppo sorvegliati”… “ed è la Francia …, il Paese che ospita la più grande comunità musulmana d’Europa si conferma come un terreno particolarmente fertile per gli aspiranti jihadisti”.

“Mese dopo mese le autorità correggono al rialzo il numero degli uomini partiti dalla Francia per la Siria e per l’Iraq al fine di unirsi nelle file dei gruppi estremisti islamici, soprattutto nell’Isis. L’ultimo aggiornamento, annunciato di recente dal premier Manuel Valss, indicava 1.300 persone circa partite, rientrate o in partenza per Siria e Iraq”.

“Più della metà dei detenuti francesi sono musulmani. Nel carcere di Fleury-Merogis, costruito per ospitare 2.855 detenuti, in realtà ve ne sono più di 4mila.

Le autorità carcerarie francesi hanno a disposizione dal 2003 un ufficio di intelligence composto da 30 persone per rilevare ogni movimento sospetto in questo ambito e gestire gli arresti delle persone coinvolte … e inoltre… Il Governo francese ha comunque deciso di nominare 60 nuovi imam nelle carceri, che si aggiungeranno così ai 180 già esistenti

*=*

Un problema enorme questi fatti ce lo pongono. E lo pongono proprio a noi:

questo terribile malessere, questa assenza di futuro, questa voglia di ribaltare una condizione insopportabile, ma senza alcuna chiarezza sul “cosa fare”, non è stato intercettato da chi ha questo come compito storico: le compagne e i compagni, organizzando nei territori il contropotere attivo. È questo il compito che abbiamo!

Vedi anche   qui   e  qui

Se si azzera la lotta di classe; se la violenza proletaria non percorre le strade della liberazione dallo sfruttamento capitalistico, individuando i veri nemici per toglierli da quel ruolo odioso e disumano… allora quella violenza può comparire e spesso compare nella forma del terrorismo cieco.

= il seguito al prossimo post=

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Una risposta a Dopo il 13 novembre. Riflettiamo!

  1. sergiofalcone ha detto:

    L’ha ribloggato su sergiofalcone.

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