La rivolta (Intifādah) in Egitto nel 1977

Un pezzo di storia del conflitto di classe in Egitto. Utile per capire le contraddizioni e le possibilità che si sono aperte nello scontro di classe  in quel grande paese:

l’Intifādah (rivolta) egiziana del 18 – 19 gennaio 1977

Il 18 gennaio 1977, tutte le città egiziane, da nord a sud, da Alessandria ad Aswan furono sconvolte da moti popolari. Alla capitale, al Cairo si assaltarono i “palazzi del potere”, le ville dei “nuovi ricchi” e i locali notturni frequentati da turisti. Molte autorità locali vennero estromesse. Spaventato Sadat ordinò all’esercito di intervenire per riportare l’ordine. Risultato dei due giorni di rivolta: 79 uccisi e 214 feriti, ma per fermare la rivolta fu necessario il ritiro dei provvedimenti del governo.

Nasser1952Non fu un fulmine a ciel sereno, gli scioperi e le proteste,erano assai diffuse nell’Egitto degli anni Settanta: iniziarono nel 1971 in un crescendo che vide nel 1975 l’occupazione delle fabbriche tessili a Mahalla al-Kubrà  (chiamata, nel mondo sindacale, la Mirafiori d’Egitto, che ha avuto un ruolo decisivo anche nelle rivolte che sono iniziate il 25 gennaio 2011).

Ma quel gennaio del 1977 fu una vera rivolta popolare, non solo operaia.

Alla base di questa rivolta c’era il fallimento della politica economica della “porta aperta” (Infitāh), imposta da Sadat. In pratica un’apertura ai capitali internazionali, una politica liberista dopo il controllo statale sull’economia dell’epoca nasseriana. Sadat, succeduto a Nasser, dopo la morte di questi il 28 settembre 1970, impresse ben presto all’Egitto una svolta antinasseriana. Svolta che ebbe un’accelerazione nell’aprile ’75 a seguito del profondo “rimpasto” governativo promosso da Sadat con la cacciata degli elementi progressisti e con la nomina a vicepresidente di Husnī Mubārak, proveniente dalle correnti reazionarie e filo occidentali dell’esercito.

La politica internazionale dell’Egitto cambiò radicalmente direzione con l’avvicinamento agli Usa e l’allontanamento graduale dall’Urss. In politica interna, Sadat aderì alle regole della Banca Mondiale per lo Sviluppo e del FMI. Questa adesione comportò l’eliminazione dei sussidi statali per i beni di prima necessità che permettevano alla maggioranza della popolazione un minimo di sopravvivenza. Il 17 gennaio Uff Liberi19521977, pressato dalle centrali internazionali monetarie, il governo egiziano abolì i sussidi. Il giorno dopo, il 18 la rivolta (Intifādah) nelle principali città egiziane.

[nella foto: gli “ufficiali liberi” nel 1952. Seduti a sinistra Nasser, a destra Sadat]

Sadat utilizzò la repressione non solo contro i manifestanti, ma orchestrò una vasta campagna al grido del “complotto comunista” per scatenare la più feroce aggressione poliziesca contro tutte le formazioni della sinistra politica e sociale egiziana. Iniziarono gli arresti: nei giorni successivi alla rivolta più di 200 militanti del PNUP (Partito Nazionale Unionista Progressista, circa 150.000 iscritti). Arresti e le persecuzioni continuarono i giorni successivi, costringendo molti militanti di questo partito, ma anche giornalisti e intellettuali di sinistra a fuggire all’estero. La liquidazione delle organizzazioni marxiste e delle forze progressiste, così come dei loro fogli (ad esempio: la prestigiosa rivista marxista al-Talī’ah, così come la progressista Rūz al-Yūsuf) da parte di Sadat trovò il sostegno oltre che della stampa di regime, anche di quella dei Fratelli Musulmani e delle gerarchie teologiche di al-Azhar, che vedevano nel processo di “denasserizzazione” e nell’azzeramento della presenza comunista l’apertura di uno spazio alla egemonia islamica sulla società egiziana (sostanzialmente laica). Si trattava di riplasmare la società e le istituzioni egiziane all’interno del binomio “liberismo capitalista/Islam” secondo il modello saudita e degli emirati del Golfo, un modello gradito agli Usa e alle centrali del capitalismo internazionale. Il primo passaggio per realizzare la “pace separata” con Israele.

In realtà lo spostamento a destra del regime egiziano era iniziato durante gli ultimi anni Nasser e Chedella presidenza nasseriana, con il tentativo di ridurre al silenzio le voci della sinistra marxista e progressista, anche se, sul piano internazionale, Nasser manteneva ancora un rapporto privilegiato con l’Urss.

Con la guerra del 1973 (6- 24 ottobre, detta “guerra del Ramadam” o “del Kippur”), Sadat cercava di riconquistare quel consenso di massa per poter condurre in porto l’opera di denasserizzazione e di spostare sempre più a destra l’asse della politica interna ed estera. La guerra del 1973, sbandierata come rivincita dopo l’insultante sconfitta del 1967 (guerra dei sei giorni), in realtà servì a rialzare lo spirito nazionalista arabo e a dare legittimazione ai due regimi arabi di Egitto e Siria, entrambi in crisi di consenso. Entrambi avevano bisogno del consenso per portare avanti politiche liberiste. Più accelerate quelle di Sadat, più rallentate quelle di Assad. Per il regime siriano, è toccato a Bashar, recentemente, dare un’impennata al cammino liberista, con la privatizzazione dell’energia elettrica che ha gettato le campagne nella povertà, con lo smantellamento del settore statale facendo aumentare il divario economico-sociale tra regioni (privatizzazione che molti a sinistra, si sforzano di ignorare), innescando così la protesta popolare.

sadatSadat in più ci aggiunse l’apertura all’islamismo che, al contrario, Nasser aveva tenuto distante e sottomesso. Ma il nazionalismo fu anche il trabocchetto in cui caddero gli intellettuali della sinistra marxista (più o meno radicali). Schiacciati sulla questione nazionale, quindi la riconquista del Sinai e la questione palestinese, persero di vista le questione sociale. Non colsero né seppero guidare la rivolta del gennaio ’77. Nonostante Sadat li accusasse di essere gli ispiratori di quella rivolta, ne rimasero, purtroppo, estranei. La sinistra marxista non ebbe alcun ruolo se non quello di guardare con simpatia e appoggiare le ragioni di quella rivolta, senza provare a dirigerla verso un cambio di regime, o un cambio di politiche. La sinistra non capì in tempo nemmeno il pericolo della “islamizzazione” che li avrebbe pressoché azzerati.

Sadat, con la Carta d’ottobre (Waraqāt Uktūbir) promulgata nell’Aprile ’74 e confermata con referendum popolare il 15 maggio dello stesso anno, aveva in se il progetto di “islamizzare la società”. Da allora la presenza invasiva e violenta delle associazioni islamiche nell’università (ğamā‘āt islāmiyyah), conquistarono pezzo per pezzo, armi alla mano, gli spazi dentro gli atenei. Il “Circolo del pensiero socialista” all’Università del Cairo che raggruppava le migliori menti dell’università, fu l’ultimo baluardo a crollare .

26 marzo 1979, a Washington, Sadat, Carter, Begin.Ma anche Sadat sottovalutò il pericolo dei due “cavalli” che aveva cavalcato per legittimare il suo potere e spazzare via i comunisti. L’islamismo e il nazionalismo ne decretarono la morte. Rimase ucciso sotto i colpi di un sottotenente del suo esercito Khalid al-Islambuli facente parte del gruppo Jihad islamica egiziana, durante una parata militare. La riappacificazione con Israele e la pace separata non gli fu perdonata dalle milizie islamiche nazionalizzate.

nella foto: Washington 26 marzo 1979: la stretta di mano tra Sadat, Carter e Begin
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Una risposta a La rivolta (Intifādah) in Egitto nel 1977

  1. Pino ha detto:

    Il tuo lavoro di trasmissione storica si avvale di sintesi e comunicazione fluida:
    ciò che scrivi rimane nella memoria e non è facile raccontare il susseguirsi
    intrecciato degli avvenimenti passati e contemporanei ed ottenere un riscontro
    oggettivo immediato.
    Forse uno dei compiti della “sinistra visionaria” deve essere proprio quello di
    raccontare la storia a beneficio dei tanti che, pur intuendo la necessità di un
    salto di qualità culturale e quindi di coscienza, non hanno il tempo o gli strumenti
    adatti per “tradurre” la mole di scritti storici a disposizione. A cominciare dagli
    studenti….di ogni ordine e grado….

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