Roma ha parlato, la causa è definitivamente chiusa, dicevano i latini. Roma era il potere militare, ben rappresentato dalle potenti legioni, ma anche potere economico; era difficile sopravvivere dignitosamente in quest’area del mondo se non eri alleato o docile sottomesso al potere di Roma.
Questa locuzione è stata poi ripresa da Sant’Agostino nei suoi Sermones, per le sentenze emanate dalla Curia romana o dal pontefice, con lo stesso significato: potere assoluto della chiesa.
Se si fosse mantenuto l’uso del linguaggio latino, il primo ministro Mario Monti, presentando il suo decreto “salva Italia” avrebbe usato la stessa espressione. Ed è un peccato che non l’abbia fatto, perché tra i suoi pregi la lingua latina ha quello di presentarci un tono schietto, icastico, che non lascia spazio a inutili orpelli, a lacrime, a contrizioni, alle chiacchiere da bar dello sport del giorno dopo.
Il potere ha detto ciò che deve essere fatto, basta chiacchiere: o ti adegui oppure ti ribelli, insorgi.
Lo fece Spartaco (“vero capo dell’antico proletariato”, come lo definiva K.Marx) e la rivolta di schiavi e gladiatori tenne in scacco il più potente esercito del mondo di quel tempo con i migliori consoli e condottieri romani per tre anni, sollevando le popolazioni oppresse della penisola dal 73 al 71 (prima dell’E.V.), e lo fecero senza tante chiacchiere, ma con la forza organizzata della loro determinazione, e misero in discussione l’ordine di Roma!
Anche in questi giorni l’ordine capitalistico ha parlato. Ha imposto le sue esigenze, ha detto che dobbiamo subire un peggioramento delle nostre condizioni di vita e di lavoro, un peggioramento secco! L’esigenza della Roma odierna (del capitale) è stata espressa con altrettanta lucida arroganza (appena qualche moina di consolazione) di fronte a un quadro politico totalmente asservito e succube.
È un ordine che non lascia spazio a chiacchiere inutili: o lo si accetta o ci si ribella.
Alcuni cercano di smarcarsi, dicendo che questi ordini provengono da un capitalismo finanziario e speculativo, quindi cattivo, però c’è anche un capitalismo produttivo, quindi buono: quello che produce le merci che hanno inondato il pianeta, la gran parte delle quali inutili, a volte dannose, distruggendo l’ambiente e le persone. Si tratta di cercarlo il capitalismo buono e farselo amico -dicono- perché quel capitalismo potrà rilanciare i consumi e quindi rialzare i salari, aumentare l’occupazione e forse regalarci un po’ di welfare, dicono. E se non lo dicono espressamente lo pensano. Dicono che bisogna riaprire gli “spazi di democrazia” un patetico tentativo di tornare “ai bei tempi in cui la democrazia funzionava e anche i diritti”; tempi che, in realtà, per le classi subalterne, per i lavoratori, per gli studenti, per i migranti, per le donne non sono mai esistiti, se non nelle parole di chi glorificava le liturgie democratiche. Quando si è ottenuto qualcosa, meglio: quando si è strappato qualcosa ai padroni lo si è fatto con la forza e con un alto costo, ma con molta determinazione.
Noi, ci dicono, siamo quelli del ceto medio, del ceto medio-basso e di quello ancora più in basso (proletariato non si usa, non è di moda, e nemmeno “classe” è perfino volgare), quindi siamo tanti, quasi il 99%, possiamo proporre una “uscita dalla crisi” che poi crisi non è ma solo un becero ma violento espediente di abbassare il “costo della forza lavoro”, ossia la nostra esistenza. Una “uscita dalla crisi” che faccia contento il capitalismo buono e, insieme ai riformisti, tirare a campare per un altro po’, così dicono e pensano, o meglio sperano.
Ma non è così, non è più quel tempo, quel tempo è finito: causa finita est!
È arrivato il tempo in cui si vedrà quanto le parole profuse da ciascun gruppo e da ciascuna formazione siano capaci di trovare le gambe per uscire dalle pagine e scendere per le strade, nelle piazze, davanti alle fermate dei mezzi pubblici, al fianco dei ferrovieri degli ex Wagon lits, davanti ai cancelli di ogni posto di lavoro a organizzare la lotta, nei quartieri a organizzare l’autoriduzione e la riappropriazione e l’occupazione di case, nei territori a opporsi a discariche e inceneritori, sotto le mura delle carceri e dei Cie per percorsi di evasioni e di proteste, nelle scuole e università a occuparle per aprirle al confronto cittadino e al coordinamento delle lotte,… e ovunque si respiri vento di rivolta!
Io, per conto mio, prometto di non leggere mai più quei testi di fuoco contro il “governo degli ingordi banchieri” finché non vedrò le incandescenti parole scendere dal foglio e ingombrare le strade.
Oggi “le chiacchiere sono finite”.
Se ci daremo da fare, forse domani, “Roma”, ossia l’ordine capitalistico, sarà “finita“!
dicembre 2011 salvatore ricciardi
Sembra di sentire Gramsci nelle lettere dal carcere e come noi tanti sarebbero d’accordo…ma aspettano ancora il Partito-guida perchè ancora il sangue non è arrivato al giusto punto di ebollizione! la “polvere” c’è oggi ancora più di ieri, manca soltanto un buon detonatore e questo potrebbe essere l’esproprio, l’occupazione, il sabotaggio light, tutte cose facili da mettere in pratica se c’è la giusta carica di rivolta…altrimenti scoppiate tutti come state facendo perchè noi abbiamo pagato anche troppo e sappiamo vivere con poco. Gianni
Sto leggendo un libro di Alex Butterworth: Il mondo che non fu mai Ed.Einaudi, ed oggi mi sono soffermato su di una frase di Eliseo Reclus, grande geografo anarchico ed anarchico rivoluzionario che merita una riflessione circa il definire “assassini” quanti si oppongono con tutti i mezzi alle trame del potere politico ed economico. Il doloroso dovere per l’ uomo di coscienza di abbracciare la trasgressione fu affrontato apertamente da E.Reclus alla fine dell’ottocento: “Nella società odierna non puoi essere considerato un galantuomo da tutti. O sei un ladro, un assassino, un sobillatore insieme agli oppositori ed ai fortunati dalla pancia piena, o sei un ladro, un assassino, un sobillatore insieme agli oppressi, gli sfruttati, i sofferenti ed i denutriti. Tocca a te, uomo titubante ed impaurito, scegliere”.Cosa ne pensate di questa frase? Oh, ma ci siete o ci fate? Gianni