11 settembre 1973

Arrivò il 1973 con il suo carico di crisi, di compromessi più o meno storici, di repressione e… aria di golpe.

Il golpe in Cile affogò la sinistra cilena in un bagno di sangue e propose a tutte le organizzazioni di sinistra interrogativi cruciali.

Anche da noi si erano avvertite minacce golpiste. Il golpe non c’era stato ma la realtà non era facile, i settori proletari dovevano fare i conti con l’offensiva del governo Dc-Pri (Moro- La Malfa), sulla cui politica la consapevolezza operaia aveva espresso la propria opinione: «La classe operaia te lo dice in coro, vaffanculo governo Moro». Lo urlò nei cortei. Lo scrisse sui muri.

Quel governo, tra i tanti disastri, spianò la strada ai governi che aprirono al Pci, i governi di «unità nazionale».

Il golpe in Cile provocò un grosso dibattito nel movimento. Il Cile era un paese simile all’Italia, di antica tradizione democratica, con le forze armate da secoli lealiste e una società civile articolata. La divisione in classi era l’elemento che sfuggiva ai più, anche ai compagni.

In molti settori di movimento si metteva in risalto il ruolo dell’imperialismo statunitense, a tal punto da far velo alla lotta tra le classi e al loro antagonismo oggettivo di fronte a un progetto di trasformazione sociale. Può sembrare strano che dei comunisti dimentichino l’esistenza delle classi, eppure succede quando si attribuisce eccessivo potere alla potenza egemone del sistema imperialista, in quel caso gli Usa, dimenticando che l’imperialismo è un sistema economico-politico alla cui base ci sono, appunto, le classi sociali.

Contro la trasformazione sociale proposta da Unidad popular si scagliarono le classi sociali abbienti per schiacciare quel timido tentativo di potere popolare che si articolava intorno ai «cordones». Si accese una lotta di classe dura e violenta; le classi proprietarie, dopo aver deteriorato la situazione economica cilena, in combutta con le multinazionali statunitensi misero fine, con un massacro, al tentativo di Unidad popular. Non bisogna dimenticare i «cacerolazos» delle signore della buona borghesia cilena, il boicottaggio dei professionisti e delle banche, lo sciopero dei padroncini degli automezzi contro le nazionalizzazioni.

La confusione su popoli, classi e imperialismo è rimasta fino a oggi. Era invece diventata consapevolezza unanime l’impossibilità della via pacifica, elettorale, al socialismo.

La sua sorte [di Allende] testimonia tragicamente che la ragione contro la forza è vana. Unire, nella lotta proletaria, forza e ragione…  [«Lotta continua», 13 settembre 1973].

Paradossalmente, anche il Pci si trovò d’accordo nel ritenere non decisiva la via elettorale, abbandonando la competizione anche elettorale per il “compromesso”. Enrico Berlinguer lo scrisse su «Rinascita»:

La spaccatura in due del paese non solo non sarebbe utile, ma sarebbe fatale. Di qui la necessità di un grande «compromesso storico», di una nuova intesa tra le forze fondamentali del movimento popolare italiano.

 Dalla tragedia cilena capimmo le gravi responsabilità dei partiti riformisti che, non avendo dato fiducia alle masse proletarie che chiedevano armi per difendere quel percorso di trasformazione sociale, riposero fiducia nelle istituzioni rendendosi responsabili del massacro. Gli slogan chiarivano il nostro pensiero: «Cile, Cile, mai più senza fucile!».

Ilmovimento si mobilitò in appoggio alla Resistenza armata del Movimiento de Izquierda Revolucionaria (Mir), con aiuti alla Resistenza ma anche con numerose azioni contro le multinazionali compromesse con il Golpe.

La direzione delle Fs il 7 novembre ’73 rispondeva con la repressione alle mobilitazioni dei ferrovieri negli impianti ferroviari che lanciavano la sottoscrizione «armi al Mir»:

Per impedire «la propaganda politica mediante l’affissione di manifesti o giornali, soprattutto di gruppi extraparlamentari, a rimuovere le affissioni e individuare i responsabili, eventualmente con l’ausilio della Polfer.

[da Maelstrom, pag 322, 323]

vedi anche qui

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Una risposta a 11 settembre 1973

  1. gianni ha detto:

    ..ricordi, ricordi che affiorano e ci fanno capire meglio il presente: una guardia di notte, mentre stavamo facendo delle scritte in piazza S.Marco a Firenze ci intimò di fermarci, ma noi scappammo per non essere identificati e lui ci sparò alle spalle!!poco dopo dovetti tornare indietro perchè nella fuga avevo smarrito le chiavi della nostra sede politica..lui era ancora lì, si avvicinò dicendomi se volevo una mano per cercarle e mi disse che era del P.C.I.!!Condivideva le nostre idee politiche..ma era illegale fare scritte sui muri..Lascio a voi ogni ulteriore commento da aggiungere a quanto gli dissi io allora. Oggi i “banbini” di Bersani farebbero la stessa cosa! figuriamoci i “renzini”!! Gianni Landi

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