«Lo portano in un parco, lo fanno sedere su una panchina in un quartiere periferico di Milano e dopo avergli messo in tasca un biglietto ferroviario per Genova e un comunicato da rendere pubblico, lo salutano dicendogli “Va be’, arrivederci, metti giudizio!“» [Corriere della Sera, 28 maggio 1974]
Lo stesso giorno il Comunicato delle BR n. 8 spiega “perché rilasciamo Mario Sossi”
«Primo: la Corte d’Assise d’Appello di Genova ha concesso la libertà provvisoria agli 8 compagni comunisti del 22 Ottobre subordinandola a garanzie sulla incolumità e la liberazione del prigioniero; queste garanzie sono state volutamente ignorate da Coco, servo fedele di Taviani e del governo. Coco vorrebbe così costringerci ad un braccio di ferro che si protragga nel tempo, in modo da poter invalidare il preciso significato politico della ordinanza della Corte d’Assise d’Appello. Non intendiamo fornire nessun pretesto a questo gioco. Liberando Sossi mettiamo Coco e chi lo copre di fronte a precise responsabilità: o liberare immediatamente i compagni, o non rispettare le loro stesse leggi.
Secondo: in ogni battaglia bisogna “combattere fino in fondo.” Combattere fino in fondo in questo momento significa sviluppare al massimo le contraddizioni che in questi 35 giorni si sono manifestate all’interno e fra i vari organi dello stato, e non fornire pretesti per una loro sicura ricomposizione. Questa battaglia ci ha fatto conoscere più a fondo il nostro nemico: la sua forza tattica e la sua debolezza strategica: la sua maschera democratica e il volto sanguinario e fascista. Questa battaglia ha riconfermato che tutte le contraddizioni in questa società si risolvono solo sulla base di precisi rapporti di forza. Mai come ora dunque diventa chiaro il senso strategico della nostra scelta: la classe operaia prenderà il potere solo con la lotta armata. Riconfermiamo che punto irrinunciabile del nostro programma politico è la liberazione di tutti i compagni detenuti politici.» [Il Giornale d’Italia, 24- 25 maggio 1974].
Il 18 aprile 1974 si era insediato alla presidenza della Confindustria Agnelli. Con questa azione le BR intendevano portare direttamente l’attacco allo stato colpendo quello che ritenevano il suo anello più debole: la magistratura. In un loro opuscolo:
«…contro ogni tendenza dìfensìvista o liquìdazionìsta che assume la crisi a pretesto per rinunciare alla lotta e cercare il compromesso, abbiamo voluto, colpendo la figura del sostituto procuratore dottor Mario Sossi, colpire un centro vitale del processo di controrivoluzione. E siamo passati all’attacco proprio ora, in questo cupo clima del referendum, perché siamo convinti che la Classe Operaia e il Movimento Rivoluzionario si trovano di fronte proprio ora ad una fase nuova della guerra di classe. Una fase in cui noi delle Brigate Rosse riteniamo che:
– all’accerchiamento strategico delle lotte operaie si risponde estendendo l’iniziativa rivoluzionaria ai centri vitali dello stato; – questa non è una scelta facoltativa, ma una scelta indispensabile per mantenere l’offensiva anche nelle fabbriche;
– al processo di controrivoluzione che si presenta come movimento globale va contrapposto un movimento di resistenza strategica.» [pubblicato nel Giornale d’Italia, 13 maggio 1974 e nel “Tempo” dello stesso giorno].
Riflessioni del magistrato Mario Sossi dopo la liberazione:
«per dura che sia stata la drammatica esperienza da me vissuta, essa è pur sempre un’esperienza.”… “In una cosa eravamo assolutamente d’accordo, che l’indipendenza della magistratura è un’utopia… questo le BR lo sapevamo già. Io l’ho capito in quei 35 giorni.» [L’Europeo, 6 giugno 1974].
Come la stampa di allora cercava di definire l’identikit del brigatista:
Sul Corriere della Sera, 24 maggio 1974: «...I comportamenti rientrano negli schemi della tensione politica o debordano in quelli della follia? E la cultura? […]. Siamo, nonostante tutto, nel terreno dell’umano o in quello del disumano? “Uomini e no” fu l’ormai proverbiale sintesi di Vittorini sulla guerra civile. Le Brigate Rosse sono oggi l’emblema del “non uomo”? […]. Tra le ipotesi c’è quella che vorrebbe. dietro le Brigate Rosse un unico cervello, una mente che guida i rapitori e “postini” […]. Interrogo un grande maestro della psicologia, Cesare Musatti. “Si può solo esprimere qualche impressione,” dice Musatti. “La persona la quale dirige l’attività del gruppo […] è proprio quale si presenta: cioè colto, con una impostazione ideologica sicura anche se incomprensibile, dotato di capacità organizzativa ed esecutiva, e con una preparazione giuridica. Il tutto è pervaso da una vena di follia: paranoia lucida, e questo giustifica ogni preoccupazione.»
Sulle stesse pagine il Corriere affida l’analisi del linguaggio dei comunicati a Enrico Calenda giovane filologo di Venezia: «L’insistito rapporto fortemente contrastante fra le coppie dei pronomi noi-voi e degli aggettivi possessivi nostro-vostro […] a cui corrisponde appunto l’opposizione di due giustizie, due stati […] mette sulla pista di un’alternativa che dal profondo si ripercuote sui livelli logici e illogici investendoli di una visione in definitiva realmente sfiduciata. A ciò si collega forse la genericità della terminologia politica: non sono poche, in fondo, le organizzazioni nazi-maoiste che usano indifferentemente espressioni come ‘lotta di classe,’ ‘lotta di popolo,’ […]. Alla magistratura borghese si oppone un ‘tribunale del popolo,’ alle carceri repubblicane, una ‘prigione del proletariato.’ Il che in fondo equivale ad un’accettazione dello stato borghese stesso, rovesciato...»[Corriere della Sera, 24 maggio 1974].
Tre giorni dopo cosí Franco Fortini sullo stesso giornale replicherà all”‘identikit“:
«Si legge come “un giovane filologo di Venezia” abbia passato “un’intera giornata” sui proclami delle BR, per scoprirvi l’opposizione del “noi-voi” e di “due giustizie.” E aggiunge – giovane ma già chiaramente orientato – “non sono poche le organizzazioni nazimaoiste che usano indifferentemente espressioni come ‘lotta di classe’ e ‘lotta di popolo.”‘ Forse l’età impedisce al nostro filologo di rammentare che quella indistinzione è da 30 anni nel linguaggio dei partiti comunisti occidentali ma non gli toglie l’uso della dialettica. “Il che in fondo equivale ad un’accettazione dello stato borghese stesso rovesciato, visto che poi non si produce (nei documenti delle BR) alcuna analisi della situazione socio-economica”: peccato che le BR non abbiano allegato uno studio “socio-economico” ai loro messaggi, magari con appendice bibliografica. Ma che dire quando i contributi più o meno innocenti degli specialisti diventano, per il giornalista che conclude, “la nota allucinante della follia, l’assenza di una vera regola rivoluzionaria, l’eco di una cultura, il moralismo che è compagno di ogni negazione”! Vogliate contare anche me per favore tra quei negatori e moralisti. “Dalle casse degli zuccherieri, cosí due miliardi finirono alla DC e al PSI,” leggo sulla pagina di quello stesso venerdì 24 maggio che vede alcuni seri studiosi contendere il mestiere alle forze dell’ordine.»[Corriere della Sera, 27 maggio 1974].
Leonardo Sciascia scrive: … «Secondo l’ortodossia rivoluzionaria, non c’è dubbio che l’azione delle BR è stata, nel caso Sossi, assolutamente ineccepibile sia in ordine alla tempestività che agli effetti. Se un movimento rivoluzionario non sa insinuarsi nelle crepe che la società, il regime, lo stato che combatte gli offrono e allargarle; se non sa fare in modo che le contraddizioni interne di quella società, di quel regime, di quello stato si inaspriscano ed esplodano, non si capisce perché e in che cosa possa dirsi rivoluzionario. Eppure nell’arco nominalmente rivoluzionario del nostro paese l’azione delle BR è stata intesa e spiegata in tanti modi, tranne che in quello più ovvio: e cioè come il modo di preparare o di cominciare a fare una rivoluzione. La più benevola interpretazione è stata quella dell’estremismo infantilistico in un senso che non mi pare sia quello di Lenin… Non riconoscere come rivoluzionaria l’azione delle BR non è dunque un sintomo del mutato rapporto tra le classi proletarie e rivoluzionarie, così come sono oggi rappresentate e si rappresentano, e il potere, e lo stato? È possibile parlare ancora di rivoluzione se il gesto rivoluzionario è temuto nell’ambito stesso delle forze che dovrebbero generarlo non solo per la risposta del gesto controrivoluzionario, che potrebbe facilmente e sproporzionatamente arrivare, ma anche perché in sé, intrinsecamente, controrivoluzionario? Non c’è dunque da pensare, da riflettere?» [“L’Espresso,” n. 25, 2 giugno 1974].
Tutti i comunicati del sequestro Sossi si possono leggere a questo link:
http://www.bibliotecamarxista.org/soccorso%20rosso/capitolo%2015.htm