Il carcere tra la fine del fascismo e l’istaurazione della Repubblica

EVASIONI E RIVOLTE SANCISCONO LA FINE DEL FASCISMO.

IL CARCERE DOPO LA LIBERAZIONE FINO ALLA “NORMALIZZAZIONE” DI TOGLIATTI

26 luglio 1943 =  A Torino, una numerosa  manifestazione favorisce l’evasione di 300 detenuti dal carcere Le Nuove, senza perdite. Viene però ucciso un fascista e nei giorni successivi la rappresaglia dei fascisti si abbatte sugli scioperi e sulle manifestazioni dei lavoratori torinesi producendo morti e feriti. 

27 luglio 1943 = A Milano, l’esercito spara sui manifestanti, in via Carlo Alberto, provocando 2 morti e 20 feriti. Sempre a Milano, il carcere di San Vittore entra in rivolta a seguito dell’ammutinamento dei detenuti politici, provocando l’intervento della 7° Fanteria che fa uso delle armi, uccidendo un detenuto e ferendone 14. La polizia arresta presso il suo studio l’avvocato Mario Paggi, insieme ad altre 20 persone fra le quali Alberto Mortara, Antonio Zanotti e Emiliano Zazo.

28 luglio 1943 = A Roma, nel carcere di Regina Coeli, esplode una rivolta capeggiata da detenuti politici. L’intervento delle forze militari e di polizia provoca 5 morti e decine di feriti.

28 luglio 1943 = A Bari, in piazza Roma un reparto militare apre il fuoco su un corteo guidato da Luigi De Secly, direttore della “Gazzetta del Mezzogiorno”, liberale, e Fabrizio Canfora, azionista, che si dirige verso il carcere cittadino per chiedere la liberazione dei detenuti politici. Il bilancio è di 19 morti e 36 feriti (secondo altra fonte, 60 feriti). Muoiono Fausto Buono, Gaetano Civera, Francesco De Gerolamo, Giuseppe Di Tulli, Graziano Fiore, Nunzio Fiore, Michele Genchi, Vittorio Giove, Giuseppe Gurrado, Paolo Ladisa, Michele La Ghezza, Angelo Lo Vecchio, Giovanni Nicassio, Tommaso Piemontese, Giuseppe Potente, Gennaro Selvaggi, Francesco Sgrana, Francesco Tanzarella, Vincenzo Tropete. Luigi De Secly è arrestato per aver incitato i dimostranti.


30 luglio 1943 = A Padova, è arrestato il giovane antifascista Gastone Passi, che è associato al carcere triestino del Coroneo a disposizione del Tribunale militare. Riuscirà a evadere  l’8 settembre 1943.

13 ottobre 1943 = A Spoleto, i partigiani al comando del capitano Ernesto Melis fanno evadere dal locale carcere i detenuti politici.

15 giugno 1944 = A Belluno, 11 partigiani garibaldini liberano con un audace colpo di mano 73 detenuti politici rinchiusi nel locale carcere.

17 luglio 1944 = A Verona, un commando partigiano composto da Berto Zampieri, Lorenzo Fava, Danilo Pretto, Vittorio Ugolini, Aldo Petacchi, Emilio Berardinelli libera Giovanni Roveda mentre è a colloquio con la moglie all’interno del locale carcere. Nella fuga restano però feriti gravemente Pretto e Fava. Il primo morirà poco dopo in ospedale

  LA “NORMALIZZAZIONE”

Il 22 luglio 1945 a Regina Coeli i reclusi del quinto braccio, sopraffatte le guardie di servizio si riversarono nella seconda rotonda e di altre sezioni. I carcerati chiedevano un provvedimento di amnistia generale e pretendevano l’immediata presenza del Ministro Togliatti. Quest’ultimo si recò nell’istituto romano il giorno successivo, accolto da applausi,  ed ebbe modo di parlare con una loro delegazione.

«Regina Coeli non è un carcere, ma un cattivo campo di concentramento»: queste furono le parole del guardasigilli comunista di fronte alla situazione che ebbe modo di vedere. Ma altre priorità muovevano le forze politiche, più pressanti dell’esigenza di miglioramento delle condizioni di vita nelle carceri. Lo stesso Togliatti, insieme alla quasi totalità della classe politica e della stampa, si fece così portatore di un’istanza di «normalizzazione» che passò attraverso la repressione delle rivolte e l’imposizione di una rigida disciplina interna alle carceri. Nel clima emergenziale seguito alla rivolta di Regina Coeli furono firmati dal guardasigilli comunista due provvedimenti destinati a pesare sul futuro della storia penitenziaria italiana.

Il primo fu dato dalla circolare del 14 agosto 1945 e riguardava esplicitamente la disciplina degli stabilimenti penitenziari. in essa erano presenti cenni significativi alle condizioni di vita dei detenuti e alcune promesse di miglioramento di esse, ma il tono generale del documento era ben altro. Bisognava restituire «ordine e disciplina» agli istituti carcerari, combattere «con energia ogni manifestazione di disordine, di indisciplina e di corruzione»; le porte delle celle dovevano essere chiuse, dal momento che «la libera e non controllata circolazione dei detenuti nelle carceri è […] la causa principale dell’indisciplina, delle sommosse, e ad essa si deve porre fine». Venivano infine minacciati provvedimenti disciplinari contro i direttori che avessero continuato a tollerare comportamenti dei detenuti al di fuori del regolamento penitenziario.

Il secondo riguardava lo status degli agenti di custodia. Nella circolare si faceva riferimento ai problemi degli agenti di custodia e si preannunciava un ulteriore provvedimento per ridefinire la loro posizione. Quest’ultimo si ebbe con il decreto legislativo luogotenenziale del 21 agosto successivo (1945). la principale novità lì introdotta era la militarizzazione del Corpo degli agenti di custodia, che assumeva in quel modo funzioni e caratteristiche analoghe a quelle degli altri corpi armati in servizio di pubblica sicurezza. La disciplina degli agenti, già severamente definita dal Regolamento del 1937, ne risultò rafforzata: la militarizzazione innescò inoltre un processo di autentica «invenzione della tradizione» che mescolando elementi religiosi e militari intendeva creare uno spirito di corpo.[…]

Ai provvedimenti repressivi approvati, la classe politica sentì l’esigenza di dare una giustificazione in termini ideologici. Della stessa rivolta di Regina Coeli, Togliatti diede in pubblico una lettura opposta a quella che aveva potuto riscontrare nei fatti: la descrisse come una protesta organizzata da elementi fascisti e volta al sovvertimento del nuovo Stato democratico. Così avvenne anche per la rivolta di Pasqua del 1946 a San Vittore (La Pasqua rossa), nel corso della quale rimasero uccisi quattro detenuti e un giovane agente di custodia, che con il suo intervento bloccò i reclusi e permise l’arrivo dei rinforzi, circa un migliaio tra poliziotti, carabinieri e militi. Al termine… il carcere risultò completamente distrutto, oltre 100 detenuti rimasero feriti e tutti i reclusi ritenuti responsabili furono trasferiti in massa in altri stabilimenti penitenziari […]

In mancanza di ricerche specifiche che analizzino i documenti interni agli istituti carcerari coinvolti nelle proteste, sembra comunque possiile escludere che le formazioni neofasciste avessero una tale capacità di mobilitazione nelle carceri in quei primi mesi dopo la liberazione. Alcune testimonianze spingono anzi a ipotizzare un’influenza di segno politico opposto (ex partigiani) nelle principali rivolte. […] Alcune inefficaci proteste furono organizzate da detenuti fascisti solo attorno alla metà drgli anni Cinquanta, quando la situazione nelle carceri era mutata radicalmente ed essi stessi erano ormai ridotti a poche centinaia… in virtù del provvedimento di amnistia emanato dallo stesso guardasigilli Togliatti nel 1946 […]    [da: De Vito, Camosci e chiavistelli, Laterza 2009, p. 15, 16]

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