Conoscere il passato per capire l’oggi
La strage di Piazza Fontana NON arrivò come un fulmine a ciel sereno.
PRIMA DELLA STRAGE
Avvenimenti e attentati
A partire dal 3 gennaio ‘69 e sino al 12 dicembre ci sono stati 145 attentati, di cui 96 di chiara marca fascista (colpite sedi Pci e Psiup, monumenti partigiani e gruppi di sinistra, movimento studentesco e sinagoghe, ecc.).
Due settimane prima della strage, il 28 novembre ’69, con cinque treni speciali e centinaia di pullman arrivarono a Roma 150.000 metalmeccanici. Le tute blu riempirono tutta piazza del Popolo con la volontà di inasprire la lotta per contrastare l’arroganza confindustriale. La tensione si tagliava col coltello, Roma era sotto assedio. Provocazioni delle forze dell’ordine non mancarono. La segreteria nazionale della Cgil diramò un comunicato nel quale affermava: “…il tentativo di creare un clima di timore, specie nella città di Roma, per infliggere un duro colpo alla lotta in corso, per aprire la strada a una svolta politica reazionaria”.
Nei mesi dell’autunno ci furono 13.903 denunce contro lavoratori/trici, di cui 2.158 metalmeccanici, 3.992 lavoratori agricoli, 1.996 ospedalieri e perfino 1.103 vigili urbani. Le incriminazioni dovevano servire come deterrente alla crescita della mobilitazione. Cosi ripartite: nei conflitti del lavoro: 8.396 denunce, di cui 3.325 per occupazione illegale di azienda, terreni o edifici pubblici; 1.712 per violenza privata; 1.610 per occupazione di binari ferroviari;1.376 per interruzione servizio pubblico,…
Il 19 novembre durante una carica della polizia muore il poliziotto che era alla guida di un gippone, Antonio Annarumma. La morte è dovuta a uno scontro con una jeep che fa sbattere la fronte di Annarumma a un ferro che delimita il parabrezza. La scena è stata ripresa da un filmato, visto da alcuni dirigenti della Rai-Tv e alcuni giornalisti. Poi il filmato scompare, ma la testimonianza dei giornalisti è unanime. Si alza un clima che vuole addossare la colpa ai movimenti di sinistra, la destra batte la grancassa coinvolgendo perfino il presidente Saragat. Al funerale dell’agente un corteo vede in testa fascisti con un tricolore e il gagliardetto della Repubblica di Salò, che nel percorso aggrediscono chiunque si segnali come di sinistra.
Il 2 dicembre ’68, ad Avola, la polizia aprì il fuoco contro una manifestazione di braccianti, sotto i colpi della forza pubblica rimasero uccisi Giuseppe Scibilia e Angelo Sigona, centocinquanta le denunce.
Il 9 aprile ’69, a Battipaglia, in provincia di Salerno, la polizia caricò una manifestazione di operai e braccianti e poi iniziò a sparare uccidendo Teresa Ricciardi e Carmine Citro di 19 anni, rimasero feriti molti altri manifestanti. Su richiesta del prefetto erano stati inviati a Battipaglia 120 carabinieri e 160 agenti di Ps; alla fine della giornata i carabinieri erano 300 e gli agenti 700.
L’11 aprile ’69 scoppiò una rivolta all’interno del carcere Le Nuove di Torino. I detenuti chiedevano l’abolizione del regolamento penitenziario del periodo fascista, Ps e carabinieri stroncarono violentemente la protesta, utilizzando anche armi da fuoco e massacrarono i detenuti.
Il 25 aprile ’69 due bombe esplosero a Milano, una alla stazione centrale e l’altra alla Fiera, allo stand della Fiat.
Il 12 maggio ’69 tre ordigni esplosivi, due a Roma e uno a Torino. La polizia aggredisce una manifestazione a Torino contro il caro affitti e arresta una trentina di persone e ne ferisce una settantina.
Il 25 luglio ’69 a Milano scoppia bomba al Palazzo di giustizia.
Nella notte tra l’8 e il 9 agosto vengono effettuati otto attentati ferroviari.
Il 25 ottobre ’69 «l’Unità» riferisce di proteste degli agenti di Ps, con il titolo: «Hanno scioperato a Torino gli operai del reparto manganelli», pubblicando fra l’altro la testimonianza di un agente: … «per gli scioperi alla Fiat ci hanno tenuti 13 ore in servizio e, dopo tre ore di sonno, eravamo di nuovo sui «tigrotti» ai cancelli di Mirafiori. Quando si è stanchi, coi nervi a pezzi, si carica e si picchia con più rabbia».
Promesse e minacce
«Basterebbe che in questi giorni in qualche manifestazione di piazza si ammazzasse qualche poliziotto e comparisse tra i dimostranti qualche arma da fuoco. La situazione potrebbe precipitare in poche ore. Toccherebbe al governo e al Capo dello Stato dichiarare lo stato d’emergenza. In alcuni Stati federali americani non si è fatto del resto lo stesso proprio in questi ultimi mesi»?
[Dichiarazione rilasciata da un alto funzionario del Ministero dell’Interno apparsa sul settimanale «Panorama» nel mese di luglio 1969, in: La strage di Stato, 1970 ]
Dalla prefazione al libro-inchiesta, “la strage di stato” gli autori Marco Ligini, Edoardo Di Giovanni, Edgardo Pellegrini affermavano: «Per questo non ci stupisce né ci indigna il ricorso dei padroni alla strage e la trasformazione di 16 cadaveri in formula di governo; né che l’apparato ne copra le responsabilità con l’assassinio e con l’incarcerazione di innocenti. Lasciamo ai democratici il compito di scandalizzarsi».
«Se la confusione diventasse drammatica. E se – nell’ipotesi di nuove elezioni – la sinistra non accettasse il risultato delle urne, le forze armate potrebbero essere chiamate a ristabilire immediatamente la legalità repubblicana. Questo non sarebbe un colpo di Stato ma un atto di volontà politica a tutela della libertà e della democrazia […] Tuttavia il ristabilimento manu militari della legalità repubblicana, possibile in mezza giornata, potrebbe non essere sufficiente...» [editoriale del settimanale “Epoca” con il tricolore in prima pagina qualche giorno prima del 12 dicembre]
Nel settimanale neofascista “Il Borghese” del 30 novembre 69 «La polizia oggi ha -se vuole – la possibilità di risolvere la crisi nella quale si dibatte l’Italia. Se il 19 novembre scorso, gli ufficiali delle caserme di Milano avessero deciso di occupare la città anziché schierarsi a difendere illoro generale contro i loro uomini, non avrebbero incontrato resistenza e sarebbero stati applauditi dalla maggioranza della popolazione. Non l’hanno fatto e, noi crediamo, se ne pentiranno».
Venerdi 12 dicembre
Erano le 16,30 circa di venerdì 12 dicembre 1969. Nel salone centrale della Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano si stavano svolgendo le contrattazioni dei fittavoli e dei coltivatori diretti, allorché echeggiò il fragore dell’esplosione di un ordigno di elevata potenza. L’attentatore aveva deposto la borsa in similpelle nera che conteneva la cassetta metallica con dentro l’esplosivo sotto il tavolo al centro dell’atrio dove si svolgevano le contrattazioni. I morti furono sedici, molti dei novanta feriti avranno gli arti amputati dalle schegge. L’esplosione fermò gli orologi di Piazza Fontana sulle 16, 37.
Poco dopo in un’altra banca distante poche centinaia di metri, in Piazza della Scala, un impiegato trovò una seconda borsa nera, e la consegnò alla direzione. E’ la seconda bomba milanese quella della Banca Commerciale italiana. Non esplose, forse perché il “timer” d’innesco non funzionò. Viene fatta esplodere in tutta fretta alle ore 21,30 di quella stessa sera dagli artificieri della polizia che l’hanno prima sotterrata nel cortile interno della banca. E’ una decisione inspiegabile: distruggendo quella bomba così precipitosamente si sono distrutti preziosissimi indizi, forse addirittura la firma degli attentatori. In mano alla polizia rimangono solo la borsa di similpelle nera uguale a quella di Piazza Fontana, il “timer” di fabbricazione tedesca Diehl Junghans, e la certezza che la cassetta metallica contenente l’esplosivo è anch’essa simile a quella usata per la prima bomba. Il perito balistico e onesto Cerri e’ sicuro che ci si trova davanti all’operazione di un dinamitardo esperto.
Poi la scena si spostò a Roma: la prima esplode alle 16,45 in un corridoio del sotterraneo della Banca Nazionale del Lavoro tra Via Veneto e via San Basilio. Tredici feriti tra gli impiegati, uno gravemente. Ma anche questa poteva essere una strage. Alle 17,16 scoppia una bomba sulla seconda terrazza dell’Altare della Patria, dalla parte di Via dei Fori Imperiali. Otto minuti dopo la terza esplosione, ancora sulla seconda terrazza, ma dalla parte della scalinata dell’Ara Coeli. Frammenti di cornicione cadendo ferirono due passanti. Ma questi due ultimi ordigni sono molto più rudimentali e meno potenti degli altri.
La reazione del paese fu di sdegno per gli attentati, di dolore per le vittime. Ma non si assistette a nessun fenomeno di isteria collettiva, … anche se immediatamente dopo la bomba di Piazza Fontana le indagini e relative dichiarazioni ufficiali puntarono solo in questa direzione nella ricerca dei colpevoli. Qui trovate il libro “La strage di Stato” http://www.uonna.it/libro.htm
Il Corriere della Sera del 15 dicembre commenta: “Che tutti questi atti terroristici siano opera di un’unica organizzazione sembra fuori di dubbio”. E più avanti riferendosi agli attentati di Roma: “A meno che gli attentatori l’abbiano attuato proprio per sviare e complicare le indagini”. Un ragionamento sensato che dura soltanto lo spazio di un mattino. Subito dopo arrivano le indicazioni dall’alto, molto in alto, deve partire la campagna stampa della “caccia all’anarchico” con l’assassinio la notte stessa di Giuseppe Pinelli. È partita l’opera di criminalizzazione a tutto campo del movimento e di vasti settori, non irregimentati, del movimento operaio.
DOPO LA STRAGE DI PIAZZA FONTANA
Commenti e valutazioni dopo la strage
La bomba di Milano è esplosa contro il proletariato. “Compagni, il movimento reale del proletariato rivoluzionario italiano lo sta conducendo verso il punto da cui sarà impossibile – per lui e per i suoi nemici – ogni ritorno al passato. Mentre si dissolvono una dopo l’altra tutte le illusioni sulla possibilità di ristabilire la «normalità» della situazione precedente, matura per entrambe le parti la necessità di rischiare il proprio presente per guadagnarsi il proprio futuro. Di fronte al montare del movimento rivoluzionario, malgrado la metodica azione di recupero dei sindacati e dei burocrati della vecchia e nuova «sinistra», diviene fatale per il Potere rispolverare ancora una volta la vecchia commedia dell’ordine, giocando questa volta la falsa carta del terrorismo, nel tentativo di scongiurare la situazione che lo costringerà a scoprire tutto il suo gioco di fronte alla chiarezza della rivoluzione.“ [Da un volantino dell’Internazionale situazionista, in Nanni Balestrini, Primo Moroni, in L’ Orda d’oro, cit.]
Tre giorni dopo, la notte del 15 dicembre – si erano appena svolti funerali delle vittime di piazza Fontana – il militante anarchico Giuseppe Pinelli, ferroviere, venne «suicidato» negli uffici della Questura di Milano. Appena qualche ora dopo, il questore, quel Marcello Guida gerarca fascista e carceriere degli antifascisti a Ventotene, tenne una conferenza stampa nella quale affermò che il suicidio di Pinelli equivaleva a una confessione che confermava la «pista anarchica».
[Da un volantino del 14 dicembre ’69] “Dietro gli assassini di Milano non ci sono solo i fascisti veri e propri, ma ci sono, da un lato le forze borghesi più arretrate e parassite […] dall’altro l’ala avanzata e riformista della borghesia che vuole rinsaldare attorno alle istituzioni «repubblicane e democratiche» del patto costituzionale la propria unità di potere nell’oppressione e nello sfruttamento.”
[altro volantino] “Sappiamo bene che cosa sia questa democrazia, sappiamo bene che cosa abbia dato questa Repubblica democratica fondata sul sangue dei lavoratori: 91 proletari uccisi (dal ’47 a oggi), 674 proletari feriti, 44.325 operai uccisi in fabbrica dal ’51 al ’66, uno ogni mezz’ora di lavoro. 15.677.070 operai infortunati sul lavoro”.
[volantino del Collettivo operai-studenti del 16 dicembre 1969 dal titolo: I soli assassini sono i padroni] “I neofascisti non sono il nemico principale e la loro presenza viene gonfiata artificiosamente per dividere e reprimere l’azione delle masse e incanalarle su obiettivi di semplice difesa della democrazia, agitando lo spauracchio del colpo di Stato reazionario.”
[volantino del Movimento studentesco a commento degli scontri dell’8 marzo1969 a Torino]
“Piazza Fontana ci sembrò un fatto grave e tragico, ma un fatto di cronaca nera. Noi non avevamo mai creduto, a differenza di altre formazioni e dello stesso Feltrinelli, alla teoria del complotto e del colpo di Stato. Pensavamo che la guerra di classe era così, dove si spara senza lacrime per le rose.” [Oreste Scalzone]
“Attentati, bombe, azioni squadristiche, sparatorie contro i compagni. L’aggressione fascista sta diventando guerra civile. […] sono i padroni che l’hanno promossa, sono gli imperialisti che l’hanno voluta, è lo Stato con la sua polizia e con la sua magistratura a sostenerla. [Brigate rosse, Comunicato n. 2. Processo popolare contro i fascisti, 25 aprile 1971] “…questo disegno repressivo per ora si estende e mira non tanto alla liquidazione istituzionale dello Stato «democratico» come ha fatto il fascismo, quanto alla repressione più feroce del movimento rivoluzionario. “[Auto-intervista Br, sett 1971]
“Il patto corporativo. Il tentativo di costruire legami corporativi tra la classe imprenditoriale del regime e le organizzazioni sindacali dei lavoratori è funzionale più di quanto si creda alla formazione dello Stato Imperialista. […] La funzione che il Pci si assegna dunque è quella di recuperare all’interno del «sistema democratico» tutte le spinte antagoniste del proletariato stravolgendole in termini riformisti.” [Brigate rosse, Risoluzione della direzione strategica, aprile 1975]
“…una cosa è stata chiara: che la parte egemone della borghesia […] ha avuto sempre in mano l’iniziativa […]. La nuova maggioranza, l’accordo di potere tra il movimento operaio e i rappresentanti avanzati della borghesia viene preparato proprio da queste contraddizioni.” [«Lotta Continua» del 31 gennaio 1970]
“…a poche settimane di distanza l’atmosfera si è decisamente distesa […] le minacce di rotture clamorose tra i rappresentanti della borghesia sono sfumate o si sono ridotte a piccole beghe di potere […]. La campagna repressiva lanciata dalle destre ha ceduto il posto alla campagna antirepressiva amministrata dalle sinistre, Pci e sindacati in testa […]. Ai fascisti si sta rimettendo la museruola, alle masse si promettono amnistie e indulti.” [Da «Lotta Continua» del 14 febbraio 1970]
“Noi dobbiamo stare attenti a non assumere un atteggiamento difensivo (noi non c’entriamo, se c’è violenza operaia è risposta alla violenza borghese ecc.). In realtà questo è controrivoluzionario perché: a) esiste la violenza proletaria; b) è un atteggiamento tattico […]. Va ribadita la legittimità della violenza proletaria […] porre il problema dell’autodifesa delle masse proletarie (dentro le fabbriche e fuori) […]. Gli operai a livello di massa si rendono conto dell’urgenza di risolvere certi problemi. Armare il proletariato. Parlare di queste cose non deve voler dire dedicare il dibattito politico esclusivamente su queste cose, considerate come a sé. Cioè, occorre discutere di queste cose, in relazione alle lotte contrattuali.” [Volantino di Lotta Continua]
“…gli atti terroristi servono a convincere gli sfruttati che questo ordine democratico è il migliore che si possa avere e che vada preservato, facendo loro dimenticare che è proprio questo ordine democratico a esercitare la sua violenza su di loro giorno per giorno nelle fabbriche, nella scuola, nei quartieri e nelle baracche in cui vivono.” [Volantino distribuito da Lotta Continua il 17 dicembre 1969 dal titolo: No alle bombe dei padroni.]
“Per qualche ora, per qualche giorno dopo gli attentati, Feltrinelli è certamente l’obiettivo, mai ufficialmente esplicitato, della «caccia rossa». Poi la caccia a Feltrinelli rientra nell’ombra. A essere chiamati in scena per le bombe sono ora Valpreda e gli sbrindellati anarchici del circolo 22 marzo.” [Giorgio Boatti, Piazza Fontana, 1999]
Su un’altra posizione era Feltrinelli, che si aspettava le bombe come premessa di un golpe alla greca. E non era il solo. Perfino il giudice Guido Viola nella requisitoria nei processi Gap-Feltrinelli-Br, così afferma: “…la possibilità di un colpo di Stato di destra non era, tuttavia, peregrina e fantapolitica […] La dura repressione della contestazione, gli avvenimenti internazionali, ma soprattutto le stragi e gli attentati attribuiti con colpevole leggerezza, per non dire di più, a gruppi della sinistra parlamentare, non facevano che alimentare e dare corpo alle idee di Feltrinelli. Alla luce dei fatti successivi […] inchieste giudiziarie […] che vedono coinvolti gli ex vertici dei servizi di sicurezza, e che hanno portato a conoscenza dell’opinione pubblica l’esistenza di una trama eversiva di destra , potente e non ancora stroncata, l’ossessione di Feltrinelli sulla possibilità di un colpo di Stato non era priva di un certo contenuto di serietà e di fondatezza.” [Giorgio Boatti, Piazza Fontana, cit.]
VALUTAZIONI E ANALISI POLITICHE
Le bombe del 12 dicembre non furono una sorpresa per nessuno.
Dopo le bombe di Stato, quel tormentato e straordinario 1969 si chiuse con la firma dei contratti di lavoro. Il 23 dicembre ’69 venne firmato il contratto dei metalmeccanici. L’8 dicembre era stato siglato quello delle aziende a partecipazione statale. Il 24 dicembre toccò a quello dei braccianti, il 31 dicembre a quello degli edili. Conclusi i contratti, e con la conflittualità in discesa, si pensava vi sarebbe stato un allentamento della repressione. Successe il contrario. Una «revanche» padronale ben coadiuvata dalle forze dell’ordine e dalla magistratura. Una vera e propria vendetta postuma o probabilmente per cercare di mettere la parola fine alla crescita delle lotte.
Picchetti ai cancelli, cortei interni, assemblee improvvisate nei reparti, qualche azione di sabotaggio, tutto questo diventava crimine. Il crimine era aver infranto l’ordine della produzione capitalistica, aver trasgredito la disciplina di fabbrica, aver contrastato i soprusi dei guardioni. E dire che le manifestazioni dell’autunno caldo nel ’69 erano state abbastanza tranquille.
«Lelio Basso del Psiup spiegò l’autunno caldo senza incidenti con il fatto che la polizia non si era fatta vedere e le organizzazioni sindacali hanno potuto assicurare esse l’ordine pubblico. Luigi Anderlini della Sinistra indipendente ricordò in Parlamento che durante una manifestazione di 60.000 a S. Giovanni non il più piccolo incidente […]. E quale è stata una delle ragioni del senso di responsabilità dei giovani? L’assenza della polizia […]. Così vanno le cose in Italia quando non c’è la polizia». [Donatella Della Porta, Herbert Reiter, Polizia e protesta. L’ordine pubblico dalla Liberazione ai «no global», 2004]
Il controllo della conflittualità aveva due strategie. Quella del Pci, Psi e sinistra Dc voleva concedere ai dirigenti delle confederazioni il tempo e la tranquillità necessarie per riportare la base tumultuosa e i settori operai ribelli all’interno del quadro di compatibilità capitalistiche, con qualche concessione normativa ed economica, sospendendo i provvedimenti repressivi da attuare semmai in un secondo tempo.
L’altra strategia faceva perno su Psdi, Pri, destra Dc e Confindustria e puntava a colpire subito le avanguardie operaie, la parte ribelle della classe e ridurre lo spazio delle confederazioni sindacali.
Ciò che preoccupava i padroni era la crescita in fabbrica di una forza organizzata operaia che contrastava punto per punto l’ordine produttivo. La denuncia e il controllo della nocività di alcune lavorazioni era la nuova frontiera della lotta, a partire dai poli chimici come Porto Marghera, gli operai scoprivano la nocività nascosta di gran parte della produzione, fino ad affermare che «nocivo è il lavoro salariato», il lavoro in regime capitalistico. Era uno slogan oppure coscienza di classe? Sta di fatto che la lotta contro la nocività costringeva per la prima volta i padroni a non cavarsela con quattro soldi per pagare la nocività o mettere l’aspiratore, ma imponeva riduzioni di orario, la quinta squadra per le lavorazioni a ciclo continuo, l’ingresso in fabbrica di tecnici non di nomina padronale ecc. E questa era coscienza di classe.
«Con piazza Fontana abbiamo perso l’innocenza».
Questa la frase di alcuni sociologi e politologi che hanno interpretato quella strage come l’inizio di una nuova fase (ripresa anche da qualche compagno/a per pigrizia mentale). Ma non è stato così!
Innanzitutto il problema dell’innocenza: non ne avevamo vista nelle nostre strade di innocenza. Avevamo visto le costanti repressioni delle lotte operaie e proletarie, le stragi che hanno segnato la nascita della Repubblica “democratica” e il suo percorso, l’apparato statale fascista traghettato indenne nella «Repubblica democratica »: all’inizio degli anni Sessanta 62 prefetti su 64 di prima classe, 64 su 64 di seconda, 241 viceprefetti su 241, sette ispettori generali su 10, 135 questori su 135, 139 vicequestori su 139, avevano iniziato la loro carriera sotto il regime fascista. Di tutti questi quadri superiori, soltanto un questore e cinque vicequestori, durante gli eventi 1943 – 45 sono stati dalla parte della Resistenza. [A. D’Orsi, La polizia e le forza dell’Ordine italiano, Feltrinelli 1972]. Avevamo visto il connubio Stato-mafia che aveva stroncato nel sangue il movimento dei braccianti e dei contadini (la ferocia con cui è stata fatta fallire la “riforma agraria” del comunista Fausto Gullo ministro dell’agricoltura dal 1944 che puntava su: permesso di occupazione dei terreni incolti o mal coltivati rilasciato alle cooperative agricole, proibizione di ogni intermediario tra contadini e proprietari, proroga di tutti i patti agrari per impedire ai proprietari di sbarazzarsi nell’anno successivo dei loro fittavoli, ecc. il ricco proprietario terriero sardo Antonio Segni che sostituì Gullo all’Agricoltura e ribaltò completamente la riforma dando maggior potere ai proprietari e fece precipitare l’impoverimento del sud: il 90% dei comuni calabresi non aveva edifici scolastici, l’85% di questi comuni non aveva canali di scolo e gli acquedotti insufficienti, gli ospedali avevano un posto letto ogni 1.500 abitanti e il 49% della popolazione adulta era analfabeta).
Erano innocenti le fucilate sulle manifestazioni? Erano innocenti le galere tenute in condizioni identiche al fascismo? Era innocente aver mantenuto un codice penale che portava e porta ancora la firma di Benito Mussolini? In questo paese e in tutta Europa non c’era traccia di innocenza.
Dopo il massacro della guerra il capitalismo occidentale ci presentò l’altro scenario, quella della ricostruzione: un mix di arrivismo egoistico, accaparramento senza timore, profitto sui morti, borsa nera, affamamento e supersfruttamento, arricchimento sulla pelle altrui, la religione asservita ai ricchi e ai massacri, il moralismo bigotto.
È bastato qualche anno di lotta per riconoscere nell’uso della forza l’unico strumento valido per avere voce. L’insubordinazione operaia questo insegnava. Cominciava a cambiare i rapporti di forza tra le classi e prospettava un cambiamento dei rapporti di produzione e dei rapporti sociali. È comprensibile che le classi dirigenti e il ceto politico, che si nutrivano di quello sfruttamento, non volevano accettare il cambiamento, e provarono a schiacciare il movimento che lo praticava. Hanno usato tutti i mezzi a disposizione: bombe, stragi, arresti, fucilazioni per strada e dentro le case; processi speciali, carceri speciali e tribunali speciali, condanne altrettanto speciali e torture quelle consuete e quelle straordinarie per ottenere la delazione, il pentimento, pestaggi e lusinghe per ottenere la dissociazione, e pene infinite.
È quello che è successo a partire dalle bombe di piazza Fontana. È la conclusione: la strage di Piazza Fontana non arrivò come un fulmine a ciel sereno.
Oggi, 13 dicembre 2019, Srgio Mattarella “rende giustizia” alle vittime della strage di Piazza Fontana e tra queste incontra anche la moglie del Commissario Luigi Calabresi. CHIAMALO VITTIMA !!!
Non per nulla era chiamato “commissario finestra” 😉 😉
Ciao Gianni, già un paese di “vittime”, anche chi aveva l’abitudine di tenere le finestre sempre aperte!
🙂 😉 🙂
Ho letto attentamente la tua ricostruzione di quegli anni dal 1966 al 1980 che ho vissuti impegnandomi e maturando la mia crescita politica, partendo dal Potere Operaio di Pisa per proseguire il mio intervento a fianco dei Collettivi e Comitati autonomi da organizzazioni partitiche esistenti od in fieri. Ho conosciuto compagni di formazione leninista ed anarchica, di vecchia e nuova generazione, quindi conosco nei più piccoli risvolti la ventata di rivolta, sincera ma anche ingenua. Il Potere politico ed economico, in tutte le sue articolazioni, aveva una visione capillare Globale e non “provinciale” che molti di noi avevano, me compreso, con mezzi mediatici tattici e strategici, inadeguati al momento storico che stavamo vivendo nello scontro in atto. Salvo, l’avversario ha avuto ed ha degli ANALISTI ECONOMICI E MILITARI molto preparati, oltre ad un supporto mediatico e politico, in grado di strumentalizzare le “guerre” o le “guerriglie” a seconda delle aree geografiche, ed impostare tattiche e strategie vincenti. Questi Signori sono forti, organizzati, armati, intelligenti ed hanno il polso della “situazione” anche senza l’aiuto di informatori, che quando ci sono, vengono utilizzati allo scopo che si prefiggono.L’avversario ha chiaro l’obbiettivo che si prefigge e sa come proporlo alla “povera gente”.Non ci rimane che proseguire la Lotta, magari senza sottovalutare l’avversario,con energie fresche e con un obbiettivo alla portata di molti.Penso che ci conosciamo abbastanza per accettare la mia opinione.
Ti abbraccio con il “Sangue agli occhi” 😉 Gianni
Ti mando un saggio-intervista che mi sembra molto puntuale riguardo al contesto “globale”:12 dicembre 1069 e lo stragismo in Italia sono soltanto una fase tattica e strategica della Guerra dei ricchi contro i poveri, che sta caratterizzando il neo liberismo in tutto il mondo per salvare il Capitalismo.
dialogo tra Christian Raimo e Francesca Coin (Francesca Coin insegna Sociologia all’Università di Lancaster, in Gran Bretagna. Si occupa di lavoro, moneta e diseguaglianze. Coordina il progetto di ricerca “The nature of money and its social perception in times of crisis” finanziato dal Center…
MINIMAETMORALIA.IT
Chi ha paura del socialismo? (Sulle elezioni recenti e future e tutto il resto) – minima&moralia
dialogo tra Christian Raimo e Francesca Coin (Francesca Coin insegna Sociologia all’Università di Lancaster, in Gran Bretagna. Si occupa di lavoro, moneta e diseguaglianze. Coordina il progetto di ricerca “The nature of money and its social perception in times of crisis” finanziato dal Center…
Un abbraccio. Gianni