Il ruolo della Confindustria nel sabotaggio e nella successiva caduta (maggio 1947) dei governi “resistenziali” formati dai partiti del Cln, si accentuò nella primavera del 1947 quando si oppose duramente al blocco dei licenziamenti e dei prezzi, alle gestioni commissariali delle aziende, al cambio della moneta, alle imposte straordinarie. Quella che sarà chiamata la “linea Einaudi” fortemente critica del titolo III della I° parte della Carta (laddove si affermano i diritti del lavoratore, la parità di retribuzione della lavoratrice, il diritto di sciopero e di organizzarsi in sindacato) e che imporrà, al contrario, il principio delle cinque libertà: libertà di produzione, di consumo, di scambio, di valuta, di credito. In quel periodo la Dc, sposando totalmente questa linea, si candidò alla guida dello schieramento capitalistico.
De Gasperi afferrava al volo l’utilità tattica di separare il comando sul rapporto di produzione, da delegare completamente agli industriali e ai loro rappresentanti, dalla direzione politica del paese. In questo modo gli industriali potevano gestire la Ricostruzione e il piano Marshall, in cambio della loro rinuncia ad esprimere una politica complessiva per il paese che il partito democristiano riservava per se.
La Dc offriva al padronato garanzie importanti sull’ordine in fabbrica, la totale libertà d’azione per l’impresa privata, l’eliminazione di ogni controllo pubblico, lo smantellamento del ruolo del sindacato, la gestione autoritaria e repressiva del conflitto di classe, mantenendo in vita le leggi fasciste e ripristinando i vertici della struttura repressiva (questori e prefetti) del fascismo. Tutto questo diventava fattibile grazie alla capacità democristiana di condurre politiche antipopolari con grande consenso popolare, ottenuto per mezzo della diffusa struttura cattolica. In questo modo la Dc si candidava a partito guida della mediazione capitalistica, diffondendo nel paese una base culturale e ideologica imperniata sul mito dell’imprenditore e sul suo ruolo decisivo per l’interesse generale del paese e sulla menzogna della coincidenza degli interessi dei lavoratori con quelli della proprietà.
Ma la mediazione degasperiana aveva un limite in quello che G. Amato definiva “protezionismo liberale”, ossia quelle norme che concedevano ogni finanziamento alle imprese: dall’acquisto di macchinari e materie prime, all’incremento delle esportazioni, dall’agevolazioni creditizie e fiscali a favore di piccole e medie imprese, alle agevolazioni per le fusioni e concentrazioni di società, all’agevolazioni ai cantieri navali, all’esenzioni fiscali alla marina mercantile, ecc.
Il padronato gradiva gli aiuti ma non voleva un controllo pubblico nell’economia. È qui che la Dc modifica il compromesso di De Gasperi con l’interventismo di Fanfani: ma non interventismo dello Stato, bensì del partito (Dc). La Riforma Agraria, la Cassa per il Mezzogiorno e per i lavori pubblici, il piano di edilizia per i lavoratori, l’Eni, e la miriade di enti delegati alla elargizione di denaro per lavori sul territorio, di sussidi, sovvenzioni e contributi a fondo perduto ramificati in tutto il territorio nazionale, hanno il marcato segno di un intervento democristiano nell’economia, non dello Stato. Questa ramificazione di strutture clientelari permettevano alla Dc di avere il monopolio nel trasferimento della forza-lavoro dalle campagne all’industria nazionale e internazionale, attivando tutta la rete parrocchiale cattolica per il controllo e l’assistenza, impedendo così la costruzione di una rete pubblica di sostegno al disagio provocato dalla urbanizzazione forzata.
Il sostegno del Mezzogiorno viene realizzato con elargizioni di fondi utili soltanto a contenere il dilagare delle disoccupazione e assicurare alla Dc la signoria feudale sul meridione.
È in questo quadro che si attua l’interventismo economico non-pubblico ma partitico della Dc. L’attivismo fanfaniano impone un carattere più militante agli iscritti democristiani, una subordinazione del governo al partito, un nuovo “liberismo” come leva dell’appoggio industriale e un sistema politico che annulla la speranza dell’opposizione in una futura alternativa di governo in cambio di un possibile percorso di cooptazione nel partito-regime.
Per consolidare questa nuova linea politica, nel biennio 1952-53, conclusa la prima legislatura dell’Italia repubblicana, la Dc accentua l’offensiva contro le norme e gli istituti costituzionali. Dall’“ostruzionismo strategico”, come definì Piero Calamandrei la resistenza dei governi centristi (Dc, Pli, Pri, Psli), praticata fin dal 1948, all’attuazione della Costituzione, si passò ad una strategia volta alla costruzione di un partito-regime ostile al dettato costituzionale.
( Eletti all’Assemblea Costituente)
La mancata abrogazione delle leggi fasciste sull’ordine pubblico e l’uso classista delle stesse, la mancata istituzione del referendum popolare e degli organi di controllo sulla maggioranza parlamentare e di limitazione del potere esecutivo come Corte Costituzionale, Comitato Nazionale Economia e Lavoro (Cnel), Consiglio Superiore della Magistratura, così come il rinvio dell’istituzione delle Regioni per un decentramento amministrativo, l’approvazioni di leggi repressive varate in quel biennio, tese ad impedire e imbrigliare il conflitto di classe, vedeva l’apice dell’offensiva democristiana nella legge Scelba sul premio di maggioranza nelle elezioni per la Camera, la cosiddetta legge-truffa. “La nuova legge elettorale avrà servito a questo: a permettere alla stessa maggioranza di passare dal larvato ostruzionismo all’aperto sovvertimento della Costituzione repubblicana” [P. Calamandrei], doveva servire ad ottenere una maggioranza in grado di realizzare modifiche costituzionali. Non riuscì grazie all’insuccesso nelle elezioni del 7 giugno 1953, ma la strategia dell’interventismo fanfaniano si delineò compiutamente.
Potrò mai perdonarmi?
Donatella, recita dieci volte L’Interanazionale, sette volte Bandiera rossa e cinque volte Liberare tutti…sulla bara del Santo Pier Luigi Vigna che nel lontano 1980 (a palle ferme!!) ebbe l’inpudenza di dire ad un compagno in odore di “fiancheggiamento” della lotta armata…”oggi pagate caro anche un furto di bicicletta di dieci anni fa!!!”..se si dovesse rimettere loro il conto per il furto delle nostre vite perseguitate in tutti questi anni, non basterebbero dieci “finanziare”. Mettiamola sul ridere, come si faceva in galera quando moriva uno sbirro od un servo dello Stato. In fede Gianni