Quando le “streghe” erano tante…

Il 18 gennaio 1976, Renato Curcio, militante delle Brigate Rosse viene arrestato per la seconda volta, dopo l’evasione dal carcere di Casale Monferrato di un anno prima (del 18 febbraio 1975) insieme a Nadia Mantovani in un appartamento a Via Maderno, a Milano.  L’arresto avviene dopo un conflitto a fuoco con i carabinieri, e Curcio rimane ferito. Nei pressi della base vengono arrestati anche i compagni Angelo Basone, morto due giorni fa, vedi questo post, Vincenzo Guagliardo e Silvia Rossi Marchesa.

Nadia Mantovani nata in provincia di Mantova, studentessa di medicina all’università di Padova, militò prima in Autonomia Operaia e poi entrò nelle Brigate Rosse, col nome di battaglia di “Giulia“. Il 15 maggio 1975, nell’ambito di una serie di azioni concertate per quel giorno dalle Brigate Rosse, viene accusata di aver partecipato all’assalto alla sede della Democrazia cristiana di Mestre.

Il 19 gennaio ’76, il giorno dopo gli arresti del 18, i giornali si scatenarono nelle più bieche e indegne considerazioni che prendevano di mira Nadia, la donna. Come poteva aver scelto autonomamente la lotta armata? Era sicuramente “per amore”! O forse per rifarsi della sua “non avvenenza” fisica! E giù con lo squallido e desolante linguaggio fascista e maschilista della sottocultura borghese italiota.

Le compagne che militavano nell’area dell’autonomia milanese, scrissero sulla rivista “Rosso” un bellissimo volantino che orgogliosamente  rispondeva e frantumava le meschinità mediatiche  (Sul n. 6 di “Rosso giornale dentro il movimentodel 14 febbraio1976 a pag.8)

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                                          L’intera pagina 8 di “Rosso ” del 14 febbraio ’76 è qui sotto:

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Una risposta a Quando le “streghe” erano tante…

  1. alba ha detto:

    Eh si, proprio una “bella” risposta. Volantino che orgogliosamente rispondeva e frantumava le meschinità mediatiche, con un linguaggio a dir poco sarcastico (direi del tutto fuori luogo) verso la Cagol, che per altro era pure morta. Donne con le “palle” non c’è che dire.

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