Il “pestaggio” in carcere

IL SISTEMA DELLE PUNIZIONI.

– Lettera di M. Z.

Volterra, gennaio 1971.

19 settembre 1970. Sono da poco le sette del mattino, passi cadenzati  si  odono nella  sezione,  la  terza  superiore  del penitenziario di Volterra… Odo i passi arrestarsi di fronte alla mia cella, la n. 23, lo scatto del pesante passante che blocca la porta,  che  viene  spalancata,  innanzi  a  me  due  brigadieri  ed una decina di guardie, vengo invitato ad uscire, obbedisco, ed in mezzo al plotone mi incammino verso l’uscita. Faccio una domanda, mi viene risposto che non sono tenuti a darmi delle spiegazioni,  replico  la  domanda,  mi informano  che  debbo essere isolato.

Scendo  tranquillamente  le  scale  sino  ai  sotterranei  del castello,  ove con mia  grande meraviglia altri miei compagni sono già  stati condotti  prima. Vengo introdotto in una cella, con un  letto di  contenzione al  centro,  mi  spogliano completamente nudo intorno ci sono una ventina di guardie. In un  istante  mi  sono  addosso  con  calci  e  pugni,  cerco di coprirmi,  grido,  chiedo  il  motivo di  quel linciaggio,  ricevo altri  calci,  pugni,  con una cattiveria ed una  selvaggità  mai veduta. Fortunatamente la lunga pratica sportiva, la difesa del caraté e  la  robustezza  fisica acquisita  praticando  il sollevamento pesi negli anni passati, mi sono di aiuto a parare molti  colpi,  che avrebbero potuto provocarmi  serie  lesioni.

Odo gridare anche  gli  altri  compagni  nelle celle accanto, addirittura  piangere e  gemere  di  dolore. Un poderoso pugno mi raggiunge in pieno volto, mi sanguina il naso, continuano a  picchiarmi,  selvaggiamente,  quasi la  vista  del  sangue  li avesse  infuriati  di  più,  proprio  come  l’istinto degli  animali feroci,  sto per  crollare  nonostante  la  mia  resistenza  fisica.

Smettono, mi trascinano nel corridoio ove in uno stanzino c’è un  lavabo,  mi  ordinano di lavarmi il  volto  che è ormai  una maschera di sangue (forse temono che mi restino troppi segni evidenti), vengo spinto ancora fuori del corridoio, vi sono ad attendermi  un numero  considerevole  di  guardie,  disposte ai due lati,  vengo di  nuovo preso di mira, infieriscono  ancora, soprattutto  con  calci, il  dolore mi  fa annebbiare la  vista, mi ritrovo pesto e dolorante nella cella, completamente nudo, mi alzo da terra a  fatica, cerco di adagiarmi  sul letto, mi gira il capo, la  nausea,  vomito,  forse  svengo, mi  risveglio  sul tardi intirizzito dal freddo, chiedo qualcosa per coprirmi, mi viene risposto che non c’è l’autorizzazione.

Intanto ho  scolpito nella  mia  mente alcuni  nomi,  tre sottufficiali  e  un  agente:  P.,  Z.,  J.  e M.  Nelle  notti  seguenti sono preso da  incubi,  mi  sveglio di  soprassalto,  mi  sembra che ad ogni istante arrivino i miei carnefici. Ho  finalmente  modo di  vedere  gli  altri  miei  compagni,  in condizioni  pietose,  A.  Z.  e  M.  A.,  quest’ultimo  forse  il  più malconcio,  è caduto  a  terra,  dove  numerosi  calci lo hanno raggiunto in pieno.

Gli altri due, M. V. e M. C., non sono stati molto malmenati per la loro avanzata età. Sei giorni dopo dal sotterraneo siamo trasferiti in un’altra  sezione,  sempre  punitiva ed  in isolamento, dove poi ci resteremo quasi cento giorni.

La  sera  del  25  settembre  vengo  convocato  sul tardi  dal sostituto procuratore  della  repubblica  generale  di  Firenze,  il quale con mia grande meraviglia sa ogni cosa, evidentemente un compagno è riuscito ad informare la magistratura. A. Z. ed io veniamo  interrogati  e  sottoposti  ad una  visita  medica all’istante  dal  medico del  carcere  dottor  L.,  per  ordine.

Riscontra ecchimosi  ed  abrasioni  sui  nostri  corpi  per  cui procede all’apertura  di  un’inchiesta controfirmata  da  noi,  e dal  medico  stesso.  Dopo qualche  giorno veniamo  convocati dal  comandante  del  carcere  il  quale ci  contesta  di  aver opposto  resistenza e di  aver  oltraggiato  le  guardie che ci portarono nei  sotterranei  (cosa assolutamente  falsa,  per giustificare le lesioni riscontrate sui nostri corpi).

Ci contesta altresì  di aver introdotto una  rivoltella  del tipo Flobert  calibro 6 nello  stabilimento,  che a  suo dire  sarebbe stata  trovata  nell’ufficio dei  conti  correnti,  ove  noi  cinque svolgevamo il nostro lavoro di impiegati. Naturalmente, non avendo  mai  posseduto quell’oggetto  respingiamo ogni addebito all’interrogatorio del pretore di Volterra. Nonostante ciò,  siamo deferiti  alla  magistratura,  pur  avendo  subito  tutti quegli abusi e violenze; non solo, vengo persino citato come teste per un’altra separata denuncia nei confronti di M. V., al quale  lo  stesso pretore  in udienza  infligge  nove  mesi  per oltraggio,  per  aver  offeso un  agente carcerario,  malgrado essendo  stato  io  stesso presente al  fatto,  abbia confermato dinanzi ai giudici la totale innocenza del compagno M. V.

Questi  avvenimenti  sono  spesso di  ordinaria amministrazione  in parecchi  reclusori italiani, particolarmente in questo di Volterra.

Le  guardie carcerarie  sono  i  più bei  campioni  di  sadismo umano,  ogni  volta è un piacere  per  loro  far  parte  della squadra di pestaggio, anzi taluni  fanno a gara per entrarci, è una cosa  bella  per loro  colpire in venti  o trenta contro uno, linciare  nel  vero  senso della  parola  un poveretto  che  nella maggior  parte  delle  volte  non ha commesso nulla  di  male, tutt’al più per aver detto qualche parola in sovrappiù…

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