Il carcere è di classe?
Quando affermiamo questa cosa ci dicono che siamo “settari”, “schematici” e anche un po’ “passatisti” o “retrò”.
Ma cosa affermiamo che suscita tanto scandalo? Semplicemente che il carcere è una struttura di classe. Si incarcera la povertà, i proletari, gli ultimi, gli emarginati. Questa costatazione la prendiamo oltre che da una convinzione teorica, semplicemente dai dati: oltre il 95% di chi sta in carcere proviene dalle classi basse o se volete dirlo in altro modo, sopravvive, male, relegato nei gradini più bassi della scala sociale.
Non siete convinti/e? Allora leggiamo attentamente questa sentenza.
È riportata dal News Journal, un quotidiano della Florida negli Usa, qualche giorno fa: la sentenza è stata emessa nel 2009 e si è conosciuta solo in questi giorni per vari motivi, ma ciò che afferma è di grande interesse.
Riporta dunque il News Journal che un uomo, tal R.R. Di 47 anni è stato condannato per aver violentato la figlioletta di 3 anni. Il codice di quel paese prevede una condanna fino a 15 anni e essendo il R.R. reo confesso la Corte l’ha condannato a 8 anni.
Però… attenzione: 8 anni di condanna ma… con la pena sospesa e in libertà vigilata. Perché? Perché, dice il giudice, l’ambiente carcerario non è adatto a lui, in quel luogo non sarebbe in grado di cavarsela, avendo trascorso la sua vita negli agi e nella ricchezza. Difatti il signor R.R. è un rampollo della dinastia dei Du Pont (Colossi della chimica). Il giudice ha accolto la tesi della difesa che aveva affermato che:
“È una circostanza estremamente rara che il carcere fa bene al detenuto” ha detto Brendan J. O’Neill, avvocato difensore di R.R. che fa parte della Richards Layton & Finge, potente studio di avvocati creato proprio dalla famiglia Du Pont. “Lo scopo del carcere è quello di punire, di separare il condannato dalla società, e l’idea che il carcere possa servire per redimere non è stato dimostrato nella maggior parte dei casi”.
Ottima tesi, quella dei difensori, da condividere pienamente. È vero che il carcere non serve a migliorare il reo; noi lo diciamo da decenni, e smentisce tutti quei sostenitori del modo di vita statunitense che però, qui da noi, esaltano il ruolo della galera come “rieducazione”.
E allora: se vale per il rampollo dei Du Pont, che il carcere non serve a migliorare né a rieducare non vale forse anche per quegli altri e altre 2.500.000 rinchiusi nelle galere statunitensi? Ripeto due milioni e mezzo!
Dunque: o fate pace col cervello, oppure siate sinceri una volta tanto e ditelo e diciamolo tutte e tutti: il carcere non è altro che lo strumento con cui la classe possidente, padronale, capitalista, bancaria, finanziaria tiene sottomessa col terrore la classe dei non-proprietari, degli sfruttati, dei poveri, degli ultimi.
E facciamola finita con le cretinate!!!!
Un piccolo contributo eccezionalmente “settario” alla discussione: http://sebastianoisaia.wordpress.com/2014/03/05/il-carcere-e-e-la-societa/
Grazie. Ciao!
buon primo maggio di lotta salvo
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Sono all’inizio del mio blog e sto un po’ “esplorando”. Per caso ho trovato i tuoi articoli e vedo che trattiamo argomenti molto simili e con lo stesso punto di vista…mi farebbe piacere segnalarti il mio blog.