Ieri dalle agenzie:
Equitazione: morto Piero D’Inzeo –Con il fratello Raimondo segno’ un’epoca -13 febbraio, 20:40 –
E’ morto oggi Piero D’Inzeo, il cavaliere azzurro che conquisto’ due medaglie d’argento e quattro bronzi olimpici e in coppia con il fratello Raimondo (scomparso il 15 novembre scorso) segno’ un’epoca dello sport azzurro. D’Inzeo aveva 90 anni.
Chi erano i fratelli D’Inzeo?
Così li ricordo...[da: Maelstrom, pag.32, 33, 34]
«Era mercoledì…
Quel 6 luglio del ’60 era un giorno in mezzo alla settimana e faceva troppo caldo per stare dentro casa, e poi le discussioni animate dei grandi in quei giorni ci tenevano su di tensione. Che i fascisti tornavano e stavano al governo ci sembrava strano. I grandi dicevano: «I fascisti li abbiamo battuti e sconfitti e adesso stanno al governo, in pratica governano».
Qualcosa si doveva pur fare. L’Associazione partigiani d’Italia (Anpi) veniva a Porta S. Paolo. A Genova c’era stato Pertini che aveva scaldato gli animi. «u brighettu», il cerino, l’avevano soprannominato, e la polizia le aveva prese. A Genova aveva parlato anche Parri. Qui a Porta S. Paolo venivano i nomi più prestigiosi, le medaglie
d’oro, i capi della lotta partigiana. Tutti in piazza: uomini, donne e ragazzi. Si andava anche noi, eccome. Giornata torrida, un caldo boia. Ma non era il caldo che rendeva paonazzo il viso degli adulti. Erano infuriati perché la questura aveva vietato il comizio dell’Anpi. Da non credere. Di gente ce n’era tanta, ma era lì perplessa, raccolta in gruppi a discutere. Di là, verso Testaccio, e soprattutto lungo viale Aventino, tanta polizia, ma proprio tanta, vedevamo anche la polizia a cavallo. Noi esplorammo la zona, girando di qua e di là. Cercammo di capire cosa poteva succedere.
Capimmo tutto quando si cercò di ricostruire la dinamica degli scontri, nelle discussioni dentro le sezioni e nelle piazze. Noi, un gruppo di amici di strada, ci trovammo improvvisamente in mezzo ai lacrimogeni e alle cariche dei carabinieri a cavallo e della polizia con le camionette, le chiamavamo jeep. Allenati a correre, per la polizia non era facile acchiapparci.
In quei giorni scoprimmo il sampietrino e la «breccola». Il primo è pesante, e per lanciarlo bisogna fare un ampio gesto del braccio alto sopra la spalla, come il lancio del disco. La «breccola» invece si lancia con un gesto secco, uno scatto all’altezza della spalla. Le «mazzafionde» quel giorno non le avevamo portate, ma da allora sempre in tasca, con qualche biglia di vetro o di ferro.
Scoprimmo una cosa ancora più importante: non eravamo soli. C’erano tanti gruppi di ragazzi nelle strade di Roma, che come noi avevano attraversato quel dopoguerra accumulando un malessere e una rabbia contro chi li condannava a una difficile esistenza.
Come noi avevano quella sorta di ripulsa per la politica che sapeva troppo di schede elettorali, di «mozioni» e «ordini del giorno», e sapeva poco di vita reale. Come noi avevano accumulato un’infinità di domande, ma, fin lì, nessuna risposta. Come noi volevano fare qualcosa.
La cronaca ha raccontato quei giovani come le «magliette a strisce», ma le magliette a strisce le avevano quelli di Genova che hanno messo in fuga i celerini, noi no, non li abbiamo messi in fuga. A Genova si erano organizzati, i portuali e gli operai dell’Ansaldo in testa. Qui niente. È stata la prima cosa che chiedemmo nella sezione del Pci qualche giorno dopo: «Perché qui non ci siamo organizzati come a Genova?». Sguardi severi ci incenerirono.
Capimmo poi il perché. Gli «eccessi» di Genova la direzione del Pci non li aveva graditi. Qui a Roma niente organizzazione di piazza, solo la fuga sotto la carica dei carabinieri a cavallo guidati dai fratelli D’Inzeo, quelli che vinsero le medaglie olimpiche nell’equitazione.
Da allora non mi sono piaciute le olimpiadi, le ho poi odiate quando, nel ’68 in Messico, la polizia ha fatto una strage di studenti che manifestavano, come in ogni parte del mondo. Che schifo lo sport quando nasconde l’arroganza del potere.
A Porta San Paolo abbiamo resistito spontaneamente, noi i ragazzi che conoscevamo quelle strade, ne avevamo dimestichezza assai più che i carabinieri a cavallo, erano le nostre strade e correre era il nostro sport, l’unico. Qualche fischio se lo presero quei funzionari del Pci che invitavano a rientrare nelle sezioni, a non continuare
gli scontri, a smetterla. E i fischi se li presero anche quei dirigenti dell’Anpi che invitavano a «stare calmi». Ma come? Dopo che i D’Inzeo avevano bastonato i partigiani dovevamo stare calmi?
I ragazzi di Porta san Paolo, tra cui anche il nostro piccolo gruppo, sono stati definiti da alcuni «la nuova generazione antifascista ». Poi il tempo, che stava lì dietro l’angolo, si è incaricato di rendere noto a tutti che quei ragazzacci di strada, quelli della nostra età, non tutta la generazione, solo quelli con molta rabbia sulla pelle, non ce l’avevamo solo coi fascisti, ce l’avevamo pure con quello che succedeva sul lavoro, ce l’avevamo con i governi, ce l’avevamo con la polizia e con i carabinieri, ce l’avevamo con lo Stato, ce l’avevamo con la famiglia che ci voleva tutti «normali» e non permetteva alle ragazze di uscire la sera. E poi ci siamo interessati di quello che succedeva in Sudafrica e in Vietnam, in Angola e in Palestina. Non ci piaceva quel mondo dove i potenti cambiavano casacca ma erano sempre gli stessi.
Forse avremmo voluta continuarla quella battaglia del 6 luglio a Porta San Paolo, buttando sul tappeto tutti i problemi che avevamo incontrano fino a quel giorno, ed erano già tanti, nonostante la nostra giovane età. Ma ancora li tenevamo in gola, non trovavamo le parole per scagliarli fuori.
Qualcuno poco più grande di noi ce l’aveva suggerito di continuare.
Quelli del Pci dicevano che costoro erano «provocatori», ma a noi non sembravano. Quella brutta parola l’ho sentita in quei giorni per la prima volta.
L’invito a continuare non l’abbiamo raccolto in quel luglio, ma l’abbiamo tenuto presente negli anni successivi.
I fatti del luglio ’60
Quei giorni e quelli successivi sono stati per noi il battesimo della politica. Abbiamo deciso di non stare più a guardare, abbiamo cercato di capire gli intrecci complicatissimi della politica italiana…»
mai avuto dubbi fossero delle m…
L’ha ribloggato su Queste sono solo parole.
Abbiamo la stessa età Salvatore, li stessi sentimenti di rivolta che non si sono affievoliti con gli anni, lo stesso o simile percorso politico e familiare ( ricordi la canzone “Piccolo uomo, oggi è la tua festa e la tua donna è pronta per l’amore…” ?), con la differenza che oggi è tutto “DROGATO”: Olimpiadi, politica, TV, gioventù ! Io sono sempre stato uno sportivo…nei campi di giuoco, nelle palestre, in pista, nella vita, ma mai un drogato, un tifoso. Ho sempre voluto partecipare in prima persona senza intermediari irrevocabili e con obbiettivi e mete concrete da raggiungere ed è per questo che sono diventato anarchico come i compagni anarchici e comunisti rivoluzionari russi di Kronstad, dell’Ucraina maknovista o della Spagna del ’36 !!
Soviet, Consigli operai, Collettività, Comune, Rivolta, sono le parole che mi piacciono. Gianni