Martedì 6 settembre 1966, Città del Capo. In Sud Africa inizia la primavera. Alle sette meno un quarto Demitrios Tsafendas, detto Mimis è già al suo posto nella portineria del Parlamento, con un’ora d’anticipo, il suo lavoro è quello di “messo parlamentare” dal primo di agosto. Oggi alle due, il primo ministro, Verwoerd deve fare una relazione sulla politica in internazionale.
Mimis va in centro e acquista un pugnale, poi ne acquista un altro più grande e li nasconde sotto la giacca. Alle due meno dieci il primo ministro entra in Parlamento e si siede nei banchi del governo. Dimitrios gli si avvicina, la sua divisa fa pensare a tutti che debba consegnargli un messaggio, estrae il pugnale e lo affonda tre volte nel tronco di Verwoerd. Mimis viene assalito da molte persone, immobilizzato e colpito da calci e pugni.
Hendrik Verwoerd, uno dei più convinti assertori dell’apartheid in Sud Africa. Definito l’architetto dell’apartheid. Dal 1937 è dirigente del Nazional Party e direttore del quotidiano del partito Die Transvaler, sostenitore della politica più tradizionalista, della discriminazione razziale e dell’integralismo cristiano. È convinto che gli afrikaner bianchi (olandesi invasori colonialisti) non debbano mischiarsi con i nativi. Nel 1950 è stato ministro degli “Affari dei nativi”, ossia un dittatore dei neri. Dal 1958 primo ministro sudafricano fino a quel 6 settembre 1966. Un bieco fascista!
Il regime dell’Apartheid era stato instaurato a partire dal 1948 a seguito della vittoria elettorale (ma i neri non votavano) del National Party, e via via inasprito da Verwoerd nel 1958 nonostante le proteste della popolazione nera. Proteste cui la polizia razzista aveva risposto con le stragi. Come quella che va sotto il nome di massacro di Sharpeville, nel periodo di massima intensità delle proteste popolari, il 21 marzo 1960, contro la politica dell’apartheid. C’erano circa 7.000 persone a Sharpeville, pacifiche e disarmate, la polizia sudafricana aprì il fuoco sulla folla dei dimostranti, uccidendo 69 persone (8 donne e 10 bambini) e ferendone 180. Si protestava contro la “legge del lasciapassare” un documento necessario per attraversare le zone interdette ai neri. Di fatto un inasprimento dell’apartheid. In ricordo di questo massacro, il 21 marzo è stato dichiarato dall’ONU “Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale”.
Demitrios Tsafendas, detto Mimis, era nato nel 1918 a Laurenço Marques nell’Africa orientale portoghese, figlio di emigranti, il padre proveniente da Creta la madre una nera mozambicana. Era giunto in Sud Africa con la Compagnia olandese delle Indie orientali. Conosceva cinque lingue, nella sua vita aveva fatto tanti mestieri in particolare sulle navi viaggiando per il mondo.
Perché Mimis uccise l’uomo più odiato in quegli anni Sessanta? Verwoerd era odiato dagli oppressi e dai rivoluzionari di tutto il mondo, ma non sono questi ultimi ad ucciderlo. Era odiato anche dai progressisti e dai sinceri democratici che però mai avrebbero concepito un attentato all’infame razzista.
Dimitrios non era un rivoluzionario, ma odiava talmente Verwoerd tanto da voler progettare e attuare la sua morte. Per quale motivo? Le sue parole subito dopo l’attentato sono state queste: «Sono contro Verwoerd. È lui lo straniero, non io. È un nazionalista, ma il popolo non lo appoggia. Io non vedo nessun progresso per noi africani. Si sono spinti troppo oltre., ne hanno fatto un’ideologia. Persino la vita sessuale . l’Immorality Act… credono di poterti dire chi frequentare e chi no. L’unica ragazza che voleva sposarmi non aveva la carta d’identità giusta.…»
Dopo l’attentato fu dichiarato affetto da “psicosi allucinatoria”, il processo non verrà mai tenuto. Il regime fascista sudafricano aveva timore di dar risalto alla vicenda. Già il Sud Africa era sottoposto a sanzioni e isolamento internazionale a causa della sua politica di segregazione razziale. Le ambasciate sudafricane ogni giorno erano oggetto di manifestazioni anche violente in ogni capitale del mondo. Quegli anni Sessanta erano anni nei quali l’attenzione alle infamie e ai soprusi dei governi e dei regimi era alta. Eppure in Sud Africa tutte e tutti restarono muti, anche se in segreto molti si rallegrarono. Ma il silenzio avallò la tesi del “gesto del folle”. Nemmeno la sinistra antirazzista disse una parola, nemmeno l’ANC, che pure aveva piene le galere dei propri militanti e che si opponeva al regime fascista anche con la “lotta armata”.
Dimitrios muore il 7 ottobre 1999 all’età di 81 anni a causa di un attacco di polmonite. Dopo l’attentato la sua vita trascorre tra manicomi e galere e manicomi-galere.
Il gesto di un “folle” dunque! Ma era pazzo lui o del tutto impazzita la società sudafricana? Nemmeno i più intransigenti oppositori dell’Apartheid dedicarono una riga al suo gesto. Lui era il folle. Però quel 6 settembre anche il più cretino razzista (e i razzisti sono sempre dei cretini) comprese che un epoca era finita e le politiche di segregazioni non avevano futuro. Il meccanismo del’Apartheid sconfitto in Sud Africa esiste ancora nel mondo, come in Israele nei confronti dei Palestinesi (sui contatti, collaborazione e scambi di informazioni tra i razzisti sudafricani e i sionisti israeliani c’è un’ottima documentazione storica).
Sconfitta l’Apartheid, nel 1994 in Sud Africa ci sono state per la prima volta elezioni libere: una testa un voto, senza guardare più il colore della testa. L’apartheid era finita, ma la politica classista rimaneva, dura e feroce. E faceva marcire le bidonville, faceva morire di stenti i minatori neri, o fucilati dalle guardie bianche, durante gli scioperi e i sabotaggi. Le differenze sociali ed economiche restarono. Il governo, ora in mano al’ANC (African National Congress), ossequioso al capitale interno e multinazionale, non modificò di niente i rapporti di classe. Successe soltanto che, alle enormi schiere di “neri poveri” si aggiunsero alcuni “bianchi poveri”, così come ai pochi “ricchi neri” furono aperte le porte della buona società.
E la lotta davvero continua!