Per chi è “fuori” del carcere, ossia in libertà, il tempo, nel senso delle ore e dei minuti, vengono regolati dall’orologio. Le giornate sono scandita dal tempo di lavoro, dal poco tempo di riposo,
dagli acquisti, dalle chiacchiere al bar o al muretto con gli amici o l’attività al centro sociale. I mesi, e i tempi più lunghi sono scanditi dalla busta paga, dall’affitto o dal mutuo da pagare, dai figli che crescono, un diploma, qualcuno che muore…
Quando sei dentro al carcere tutti questi avvenimenti non puoi viverli. Casomai ti vengono raccontati da chi sta fuori per tenerti agganciato/a al susseguirsi delle vicende familiari o degli amici o del quartiere. Ma passando il tempo queste rappresentazioni della vita reale diventano sempre più distanti e sbiadite.
Il tempo del carcere, al contrario, lo percepiscono le orecchie.
La giornata è cadenzata dai rumori del carcere. La mattina inizia con gli scarponi delle guardie che calpestano il corridoio e sbattono, aprendole, le porte di ferro, la “blindata” o “blindo” delle celle, poi il cancello in ferro ed entrano per contare i carcerati. La mattinata prosegue con lo sferragliare del carrello della colazione e di nuovo

gli scarponi delle guardie che urlano “aria” e aprono i cancelli di ferro delle celle sbattendoli contro la blindata. Tornato in cella dopo l’aria è lo sferragliare del carrello del pranzo che segna la fine della mattina. Il pomeriggio inizia con gli scarponi delle guardie che urlano di nuovo “Aria!” e termina con lo sferragliare del carrello che porta la cena. L’intera giornata ha termine quando altri scarponi di guardie chiudono le porte blindate e spengono la luce.
Scarponi e carrello le due lancette dell’orologio carcerato.
Ogni giornata è uguale all’altra, quindi il tempo giornaliero non viene scandito.
Sono i colloqui con i familiari, per chi li fa, a scandire lo scorrere dei giorni e delle settimane. “domani faccio il colloquio”, sta a significare che quel detenuto ha rotto la monotonia del tempo carcerato introducendoci la variante di un ora di colloquio. È un’ora che ha una lunga preparazione, per cui è la “giornata del colloquio”, dalla mattina i movimenti del carcerato che “sa che avrà il colloquio” sono diversi dai movimenti degli altri giorni. Non solo si deve preparare per togliersi di dosso il più possibile, la “puzza del carcere”. Che poi è una puzza che avvertono soltanto i detenuti e la schifano. Per gli altri, provenienti da fuori, quello del carcere non è un odore particolarmente spiacevole. Lo è per il carcerato perché identifica quell’odore con la miseria del carcere. Il detenuto che si prepara al colloqui deve soprattutto prepararsi dentro. Deve preparare una specie di contenitore dove raccogliere tutte le immagini, gli odori, le carezze, insomma tutte le emozioni che conserverà per giorni e giorni rivivendole nel tempo del carcere. Per questo il colloquio in carcere tra detenuto/a e amici e familiari ha un che di assurdo. È un ingorgo di emozioni, perché il carcerato cerca di accumulare la maggior quantità di sensazioni, creando situazioni paradossali e irreali.
Il tempo riprende a scorrere quando il detenuto esce dal carcere!
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