Il patriottismo, l’ultimo rifugio per i farabutti e i codardi
(Samuel Johnson, noto anche come Dottor Johnson (1709 – 1784), poeta e scrittore britannico)
Inverno 1916. Da due lunghissimi anni gli eserciti europei, agli ordini di generali vigliacchi, si massacravano reciprocamente. Il grande macello era stato voluto dalle borghesie nazionali e dai loro servitori governativi e parlamentari, compresi i socialdemocratici, per risollevare l’economia capitalista in “crisi” a seguito dei repentini processi di “globalizzazione” e “finanziarizzazione” dell’economia dell’inizio del secolo (1911-1913).
Ad ogni Natale, i fanti di ogni divisa immersi nel fango delle trincee, affamati, esausti e malandati, coglievano l’occasione per sospendere autonomamente il combattimento e scambiarsi oltre le trincee e i fili spinati, gli auguri per una fine di quell’indegno massacro.
Dal primo inverno del 1914 i giorni a ridosso di Natale cessavano gli spari, si alzavano cartelli con !auguri”, si scambiavano grida di pace e sigarette e cioccolata. In qualche caso anche strette di mano nella “terra di nessuno” diventata a furore popolare “terra di tutti”.
Le gerarchie militari e gli alti comandi degli eserciti, quei vigliacchi che cercano la gloria per se nel sangue dei sottoposti, ne erano innervositi, al punto che, pieni di livore impotente, emisero numerose circolari che vietavano questo “rapporto col nemico”.
Il Natale successivo, quello del 1915, in barba agli ordini degli stati maggiori dei codardi, gli scambi di saluti, strette di mano, doni, ecc., si moltiplicarono.
Non potendo frenare questi gesti di fratellanza, i vili generali decisero di usare la frusta della repressione. Questi saluti oltre le trincee, questa grande espressione di umanità venne dichiarata “un reato” di tradimento. Così generali, magistrati, pubblici ministeri e gendarmi si attivarono per riportare le truppe alla “legalità” di merda!
Ecco alcune sentenze di condanna emesse l’anno successivo: il 1916 sul fronte italo-austriaco:
Dicembre 1916– A.S. di Roma anni 20, macchinista, caporale del 130° fanteria, condannato a 1 anno di reclusione militare per “conversazione col nemico”. «Avendo tre o quattro austriaci gridato dalla loro trincea: “pace” egli pure rispose: “la vogliamo anche noi la pace”»
[Tribunale militare di guerra del XX corpo d’armata. Enego, 5 maggio 1917. sent. 454]
La notte dal 19 al 20 dicembre 1916 un plotone della 6° compagnia del 129° fanteria, durante i lavori per spalare la neve, il caporalmaggiore R.D. e il caporale C.M. vedevano gli austriaci intenti a spalare anche loro la neve; questi rivolsero parole di saluto, non comprese perché in tedesco, finché arrivò M.E. che fu in Germania a lavorare e lì si era fidanzato con una ragazza tedesca. Questi iniziò una conversazione che portò a una specie di intesa reciproca di non spararsi mentre si spalava la neve. Ne seguì uno scambio di cortesie e saluti e venne alzato un cartello con su scritto: “Buon Natale”, poi si scambiarono sigarette, pane e cioccolata.
R.D., della provincia di Salerno di anni 33, condannato a 1 anno di reclusione militare per conversazione col nemico e rifiuto d’obbedienza; C.M., della provincia di Avellino di anni 24, condannato a 1 anno e 1 mese di reclusione militare per lo stesso reato; M.E. della provincia di Arezzo di anni 23, condannato a 8 anni per gli stessi reati con in più “tradimento indiretto” in quanto il M.E., durante la conversazione tra una trincea e l’altra, aveva chiesto a un soldato austriaco di scrivere una lettera alla sua fidanzata tedesca a Dresda.
Si misero d’accordo per avvertirsi se i superiori li avessero obbligati a imbracciare le loro armi e di mirare in alto.
Agli alti comandi, di entrambe le parti, vennero i brividi. Stava succedendo il disastro: soldati che dichiarano la loro fratellanza e che rifiutano di combattere.
I generali, da tutte e due le parti, dichiararono questo pacificarsi spontaneo come tradimento e pertanto conforme alla corte marziale.
Entro marzo 1915 il movimento di fraternizzazione era stato sradicato e la macchina di morte rimessa completamente all’opera.
Al momento dell’armistizio nel 1918, quindici milioni di persone erano state massacrate.
16 ottobre 1917
Carissima Elia,
il tempo si mantiene purtroppo sempre cattivo: quando qui comincia a piovere non la finisce più, ed ormai sono una decina di giorni che si può dire non fa altro che piovere. Immagina quindi
come si possa stare. Quello che poi è seccante più che ogni altra
cosa è il fango che si viene a formare per tutto l’accampamento:
è tale che diventa una cosa molto difficile camminare, soprattutto
di notte in cui regna un’oscurità quasi completa, tanto da non
vedere due passi avanti. Io ho dovuto far mettere i chiodi nelle
scarpe, perché altrimenti non avrei fatto altro che continue cadute. Ed anche ora che ho messo i chiodi bisogna che stia molto attento per non andare a terra. Pur con tutto questo non mi lagno,
pensando che potrei stare anche peggio. È con questo pensiero, io
credo, che si possono superare tante difficoltà che in altri tempi ci
sembrerebbero insuperabili.
Baci affettuosi dal tuo Peppino
26 gennaio 1918
Carissima Elia,
…apprendo volentieri come tu anche nel sogno ti ricordi di me,
e come la mia immagine ti appaia facilmente nel sogno. Anch’io
per dirti il vero, mi piacerebbe di sognare tante cose belle, e tra
queste il vedere frequentemente nel sogno la tua cara immagine. Sarebbe per me d’infinito conforto. Purtroppo, però, questo
non mi capita, perlomeno con quella frequenza con cui pare che
capiti a te: non ti nego però che anch’io delle notti mi sogno di
te, e questo mi è anche capitato qualche volta quando mi trovavo in linea. E come mi trovo contento entro il sogno stesso!
Purtroppo però quando mi sveglio mi accorgo che la realtà è
molto diversa, ma prima nel momento che dormivo sentivo in me
una grande soddisfazione. Che questo sogno diventi una buona
volta realtà! E’ questo l’augurio migliore che io mi possa fare in
questo momento.
Baci infiniti dal tuo affezionatissimo Peppino.
3 luglio 1915
Germana mia ieri sto
sempre in ottima salute ed in posizione sicura. Poi ci sei tu che
preghi per me, angiolo mio, ho buona speranza di tornare presto
e salvo! Sta tranquilla, Germana mia, e seguita ad amarmi così
come ti amo io. Tu sapessi quanto mi ha fatto bene la tua lettera!
Scrivimene delle altre, molte altre piene di affetto come quella.
Ho tanto bisogno del conforto tuo. Tanti saluti a tutti i parenti,
specialmente a quelli che in questa occasione hanno dimostrato
maggiori riguardi per te. Io gliene sarò grato e riconoscente
sempre, perché essi così operando mi fanno il maggior bene che
far si possa ad un uomo in questo mondo. Ti giunga l’espressione del mio imperituro, stragrande affetto. Tuo Gigi
Dicembre 1914
Sorella cara, sono le due del mattino e la maggior parte degli uomini dormono nelle loro buche, ma io non posso addormentarmi se prima non ti scrivo dei meravigliosi avvenimenti della vigilia di Natale. In verità, ciò che è avvenuto è quasi una fiaba, e se non l’avessi visto coi miei occhi non ci crederei. Le prime battaglie hanno fatto tanti morti, che entrambe le parti si sono trincerate, in attesa dei rincalzi. Sicché per lo più siamo rimasti nelle trincee ad aspettare.
Ma che attesa tremenda! Ci aspettiamo ogni momento che un obice d’artiglieria ci cada addosso, ammazzando e mutilando uomini. E di giorno non osiamo alzare la testa fuori dalla terra, per paura del cecchino. E poi la pioggia: cade quasi ogni giorno. Naturalmente si raccoglie proprio nelle trincee, da cui dobbiamo aggottarla con pentole e padelle.
E con la pioggia è venuto il fango, profondo un piede e più. S’appiccica e sporca tutto, e ci risucchia gli scarponi. Una recluta ha avuto i piedi bloccati nel fango, e poi anche le mani quando ha cercato di liberarsi…» «Con tutto questo, non potevamo fare a meno di provare curiosità per i soldati tedeschi di fronte noi. Dopo tutto affrontano gli stessi nostri pericoli, e anche loro sciaguattano nello stesso fango. E la loro trincea è solo cinquanta metri davanti a noi.” “Tra noi c’è la terra di nessuno, orlata da entrambe le parti di filo spinato, ma sono così vicini che ne sentiamo le voci. Ovviamente li odiamo quando uccidono i nostri compagni.
Ma altre volte scherziamo su di loro e sentiamo di avere qualcosa in comune. E ora risulta che loro hanno gli stessi sentimenti. Ieri mattina, la vigilia, abbiamo avuto la nostra prima gelata. Benché infreddoliti l’abbiamo salutata con gioia, perché almeno ha indurito il fango.Durante la giornata ci sono stati scambi di fucileria.
Ma quando la sera è scesa sulla vigilia, la sparatoria ha smesso interamente. Il nostro primo silenzio totale da mesi!Alcuni di noi sono usciti e in pochi minuti eravamo nella terra di nessuno, stringendo le mani a uomini che avevamo cercato di ammazzare poche ore prima»
Questi non sono i ‘barbari selvaggi’ di cui abbiamo tanto letto. Sono uomini con case e famiglie, paure e speranze e, sì, amor di patria. Insomma sono uomini come noi. Come hanno potuto indurci a credere altrimenti? Siccome si faceva tardi abbiamo cantato insieme qualche altra canzone attorno al falò. Poi ci siamo separati con la promessa di rincontraci l’indomani, e magari organizzare una partita di calcio.
E insomma, sorella mia, c’è mai stata una vigilia di Natale come questa nella storia?
Il tuo caro fratello
Bellissime queste lettere e piene di umanità. Possibile che non si sia riusciti a fermare questo Grande macello? Bastardi generali, banchieri e capitalisti!
Quindici milioni di persone!! 15.000.000 di persone!! Chissà come ha fatto mio nonno a sopravvivere…e perché non dovremmo pensare che abbiamo già dato e che è assolutamente contro ogni ordine naturale degli eventi accettare percorsi di sacrificio umano nel nome del
profitto, dell’arricchimento altrui e della difesa del potere costituito…