La “droga” del calcio in carcere… ma solo in carcere?

Carcere di Alessandria – 4 ottobre 1971

Ogni anno ad Alessandria veniva fatto una specie di campionato di calcio interno, con premiazioni a base di coppe di stagnola per i vincitori e medagliette varie per le squadre
piazzate, il tutto pomposamente consegnato alla presenza di tutti e delle autorità dirigenti in occasione di un ancor più pomposo spettacolo di canzonette organizzato nel locale adibito a cinema ricavato nel blocco centrale che costituisce la rotonda. Intorno a questo campionato ruotava un incredibile giro di compromessi, intrallazzi vari e scommesse a base di fiaschi di vino, pranzi, sigarette e anche soldi liquidi. Veniva organizzato dai soliti “intoccabili” che sostanzialmente avevano sposato la causa di tutti gli aspetti negativi dell’istituto, anzi, erano loro che li rappresentavano e li interpretavano questi aspetti negativi; occupavano tutti i posti chiave per autorità e per benessere economico e facevano in modo che la vita dell’istituto avesse un certo andazzo nel quale potevano guazzare a loro piacimento; alla direzione faceva molto comodo tutto questo in quanto costoro rappresentavano un corpo speciale di “agenti” di cui si fidava ciecamente, poiché assicurava il controllo e l’informazione a tutti i livelli sulla vita del carcere; erano proprio costoro che tenevano le redini dell’intrallazzo o dei traffici, perché potevano muoversi a loro piacimento nell’interno del carcere e la direzione chiudeva un occhio su tutti i loro traffici come a conceder loro una specie di premio per la loro solidarietà; loro stessi, per giustificare i loro privilegi e farsi perdonare l’intrallazzo, erano rigidissimi verso i compagni ed erano pronti a commettere qualsiasi tipo d’infamità verso gli altri detenuti per dimostrare che erano indispensabili al controllo dell’ambiente e spesso per togliersi dai piedi qualche concorrente pericoloso per il predominio del traffico o per il posto che occupavano.
Quando costoro organizzavano il campionato di calcio cercavano in genere di avere come presidenti delle squadre più forti lo stesso direttore, il maresciallo, o altre personalità.
Allora facevano in modo ognuno che la squadra che aveva il presidente che a lui serviva per essere protetto maggiormente vincesse e si assisteva a tutti i tipi di manovre per comperarsi le partite operando sui giocatori con sigarette, vino, soldi o addirittura giungendo alle minacce dirette tramite il ricatto con accenni più o meno velati che quella data “autorità” avrebbe tenuto conto del suo comportamento, eccetera; nel
migliore dei casi i giocatori venivano imbottiti di pastiglie di metedrina e quando scendevano in campo si assisteva a delle vere e proprie corride fatte di calci e liti violente. Non potrei dire che i vari presidenti fossero più o meno a conoscenza di tutte le porcherie che c’erano dietro a questi campionati di calcio, ma sta di fatto che era impossibile non saperlo perché lo sapevano tutti e forse diventavano ciechi, muti e sordi perché così conveniva. Quelli che ci andavano di mezzo erano coloro che giocavano e che credevano di essere chissà quali eroi quando vincevano una partita, segnavano una rete o vincevano di prepotenza un contrasto col diretto avversario:
la nota più saliente era l’aggressività estrema che si scatenava in quel piccolo rettangolo di gioco. Il campo era un piccolo cortile di circa m 40 per 15 e vi si giocava in squadre di sei ciascuno; diventava una bolgia, una specie di circo massimo con belve in lotta tra loro. C’era l’esigenza di scaricare le tensioni, di dimenticare per qualche minuto le umiliazioni del carcere, ma questa esigenza di per sé utile e comprensibile veniva alterata dall’alto grado di competitività che veniva artificialmente creata attraverso gli intrallazzi e la metedrina.
In quelle partite il fatto sportivo e l’esigenza di sfogarsi non c’entravano più. I detenuti, pur di veder menzionato il loro nome sul giornale esterno (veniva invitato un cronista per le
partite importanti oppure qualcuno si incaricava di scrivere degli articoli che non stavano né in cielo né in terra e venivano poi inviati al “Corriere alessandrino”) o “far piacere
al protettore di turno, finivano con l’ammazzarsi invece di divertirsi”. Ma la colpa non era loro, come ti ho detto, per la maggior parte, quando scendevano in campo erano tutti
imbottiti di metedrina e non capivano più nulla. Si verificavano falli che erano semplicemente bestiali. Per costoro l’alienazione e l’assoggettazione alla metedrina
diventava qualcosa alla quale non riuscivano più a sottrarsi.
Quando non avevano metedrina da ingerire vagavano in giro come ombre, intontiti, abulici, incapaci totalmente di vivere.
Sotto questo aspetto, il carcere di Alessandria era un’eccezionale fabbrica di drogati! Ma credo che anche ora le cose siano allo stesso punto. Ho avuto notizia di recente che nell’ultimo campionato di calcio disputato in quel carcere “almeno sei detenuti sono finiti in ospedale per fratture varie” e ciò può spiegarsi soltanto con l’incoscienza e la foga causata dall’uso di forti dosi di metedrina. In quel carcere perfino lo sport, che pure qui dentro potrebbe essere una cosa benefica si trasforma in una totale manipolazione della
persona del detenuto. Se anche le autorità interne non ne sanno nulla e lo permettono attraverso il loro assenteismo sono ugualmente colpevoli. Oggi ci sono leggi severissime
sulla droga. Spesso viene fatto un fracasso enorme quando viene sorpreso qualcuno in possesso di qualche grammo di droga. Applicando questi parametri, nel carcere di
Alessandria metà delle persone dovrebbero essere denunciate per uso di metedrina (ma costoro hanno solo la colpa di lasciarsi maggiormente alienare e ridurre a comportarsi in
certe occasioni in modo bestiale) e un’altra parte dovrebbe essere denunciata per l’ab uso che fa fare agli altri di una tale sostanza cosa che non ha più niente a che vedere con la
libertà di fare del proprio corpo quel che si vuole. Ma anche per queste cose il carcere è completamente staccato dal contesto sociale; è un piccolo mondo chiuso nel quale può
succedere di tutto senza che nessuno possa operare controlli di nessun genere.

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