Eccola la “democrazia giuridica” dei reati associativi…come durante il fascismo!

Art.270 del Codice Penale (Associazioni sovversive)                                                              Chiunque nel territorio dello Stato promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni dirette a stabilire violentemente la dittatura di una classe sociale sulle altre, ovvero a sopprimere violentemente una classe sociale o, comunque, a sovvertire violentemente gli ordinamenti economici o sociali costituiti nello Stato, è punito con la reclusione da cinque a dodici anni.
Alla stessa pena soggiace chiunque nel territorio dello Stato promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni aventi per fine la soppressione violenta di ogni ordinamento politico e giuridico della società.
Chiunque partecipa a tali associazioni è punito con la reclusione da uno a tre anni.
Le pene sono aumentate per coloro che ricostituiscono, anche sotto falso nome o forma simulata, le associazioni predette, delle quali sia stato ordinato lo scioglimento.
Art.270bis (Associazioni con finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico):
Chiunque promuove, costituisce, organizza e dirige associazioni che si propongono il compimento di atti di violenza con fini di eversione dell’ordine democratico è punito con la reclusione da 7 a 15 anni.
Chiunque partecipa a tali associazioni è punito con la reclusione da quattro o otto anni.
(commenti)

nel campo del reato associativo è quasi impossibile stabilire la responsabilità di qualcuno sulla base di una normale indagine di polizia giudiziaria, senza, cioè, l’intervento dei “pentiti”: costoro rappresentano quasi sempre l’unico strumento che hanno in mano gli inquirenti per poter provare la colpevolezza dell ’indagato. Da qui l’importanza che viene data alle loro deposizioni, anche quando queste non siano corroborate da nessuna prova e siano palesemente calunniose….

In teoria l’associazione sovversiva è un reato “a consumazione anticipata”, da punire in itinere, prima cioè che il bene venga effettivamente danneggiato. Le “associazioni sovversive” sono caratterizzate dalla volontà degli associati di un effettivo uso della violenza e di una turbativa dell’ordine costituzionale. Sono quindi illecite già nello stadio della programmazione dei reati, anche se non si è nemmeno tentato di compierli. La “soglia di punibilità” retrocede sulla base di “ipotesi criminose aperte” o addirittura libere. Con l’aggravante della “finalità di terrorismo”, tali ipotesi vengono ulteriormente espanse, fino all’arbitrio assoluto degli inquirenti e dei giudici, autorizzati dal potere politico a fare come credono, e a retrocedere la soglia di punibilità alla manifestazione del pensiero e addirittura al pensiero stesso.

“Da una giustizia mirante all’accertamento della lesione di un bene si può passare a quella mirante all’accertamento della violazione di un dovere politico di fedeltà […] Un altro degli effetti… è [l’]ampliamento dell’area della rilevanza penale di comportamenti in sé leciti. Tale rilevanza viene attribuita a causa del valore sintomatico in essi individuato dal giudice […] E’ proprio lo stato d’animo, il pensiero nascosto e non espresso, la interna disobbedienza che divengono oggetto di indagine, in quanto è all’accertamento di essi che il giudice tende a risalire… Ecco che in processi di questi ultimi anni sono sottoposti al vaglio del giudice penale comportamenti quali la creazione di un collettivo di lavoratori contrapposto al sindacato, l’organizzazione dei seminari autogestiti, la collaborazione, mediante un articolo dal contenuto lecito, a un periodico riconducibile ad una struttura associativa ritenuta illecita; l’intervento in un’assemblea universitaria, e, in genere, rapporti interpersonali manifestatisi attraverso scambi di documenti politici, lettere, telefonate, ecc., tutti dal contenuto penalmente irrilevante”.

(Antonio Bevere, “Processo penale e delitto politico, ovvero della moltiplicazione e dell’anticipazione delle pene”, in Critica del diritto n.29-30, Sapere 2000, aprile-settembre 1983, pp.62-69)

Dunque: il reato associativo è un reato d’opinione all’ennesima potenza, un reato a consumazione virtuale.

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