Ho visto il film di Marco Tullio Giordana “romanzo di una strage” e l’ho trovato disgustoso, peggiore di quanto mi aspettassi, nonostante conoscessi le critiche da tempo e da molti rivolte al film e al libro di Cucchiarelli cui il film si è “liberamente” ispirato. A queste critiche rimando chi voglia conoscere maggiori particolari sulle teorie inconsistenti e sballate: le due bombe, le infiltrazioni intrecciate e sovrapposte, i profili vigliacchi e ammiccanti, la trita dialettica tra i “buoni” e i “cattivi” su cui si regge il film. (qui, qui e qui e tanti altri commenti che si trovano in rete (molti li ho letti dal blog del compagno e amico Sergio Falcone)
Non c’è molto da aggiungere, tanto forte è il senso di squallore che la visione del film suscita a chi ha attraversato quegli anni con la passione e l’urgenza di trasformare l’esistente. Una passione che ha avuto un costo altissimo per coloro che l’avevano scelta come compagna di strada. Una passione che non si trastullava con cosmogonie complottarde perché aveva da scontrarsi ogni giorno con l’apparato repressivo del potere padronale e politico.
La strage, le stragi di allora, sono state vigliacche coltellate alla schiena per noi, ma non inaspettate. Quello Stato e tutti i suoi apparati effettivi, non deviati, tra una bomba e l’altra non stavano con le mani in mano: “…tra settembre e dicembre 1969 nei conflitti del lavoro si sono avute: 8396 denunce, di cui 3325 per occupazione illegale di azienda, terreni o edifici pubblici; 1712 per violenza privata; 1610 per occupazione di binari ferroviari; 1376 per interruzione servizio pubblico,…”
Il 7 gennaio 1970 il Ministro del Lavoro Carlo Donat Cattin, in una lettera al capo dello Stato, scriveva: “Dai dati che sono emersi ho tratto la sensazione che in alcuni punti e sedi private e pubbliche, dopo la conclusione delle maggiori vertenze contrattuali si stia alimentando una sorta di reazione che tenta di svilupparsi sul piano giudiziario con richiamo, tra l’altro, a norme penali superate […]. Ma questa moltiplicazione che va al di là di quella dei pani e dei pesci, è una moltiplicazione che ha un sentore politico piuttosto negativo che va rimosso se l’intenzione del governo e di tutti i cittadini di buona volontà è quella di raggiungere rapidamente la normalità nelle aziende e nei rapporti sociali“.
Gli faceva eco il dirigente del Pci e senatore Pietro Secchia che denunciava: “A dimostrare il clima di caccia alle streghe e di intimidazione che si è creato in certi ambienti […] immaginate che cosa non può accadere a danno del semplice lavoratore, del semplice bracciante, a danno dell’umile operaio…”
È facile scoprire che non si trattò solo di bombe e stragi, fu una feroce repressione praticata con ogni mezzo per fermare e annientare quel poderoso movimento che voleva trasformare il sistema sociale esistente. Il potere economico, quello finanziario, militare, ecclesiastico, giudiziario, quello familiare, ecc., non accettava di essere messo in discussione, rifiutava violentemente di confrontarsi con proposte di cambiamento.
È questa la semplice verità che si cerca di nascondere sotto la coltre di bizzarre ricostruzioni:
Lo avevamo capito già dal luglio ‘60 nel batterci contro il governo democristiano-fascista di Tambroni. Ancor più chiara fu la lezione del luglio ’62 a piazza Statuto, quando la ribellione dei nostri compagni operai in Fiat ha fatto schierare tutto il sistema dei partiti in difesa dell’ordine produttivo. Da allora li abbiamo avuti tutti contro, nelle lotte, nei sabotaggi, nei picchetti duri, nei cortei interni, nelle occupazioni di case, negli scontri di piazza… ovunque, nella rivolta di Corso Traiano nel cuore del potere della Fiat a Torino, ed era il 3 luglio 1969, molto prossimo alle bombe.
A che serve escogitare complotti e intrighi quando c’è una spiegazione comprensibile soprattutto alle nuove generazioni e si trova nella lotta tra le classi, aspra in quegli anni. Una lotta che cominciava a cambiare i rapporti di forza tra le classi e prospettava un cambiamento dei rapporti di produzione. È comprensibile che le classi dirigenti e il loro ceto politico, che di quello sfruttamento si nutrivano, non volevano accettare il cambiamento, e provarono a schiacciare il movimento che lo interpretava. I mezzi li hanno usati tutti: bombe, stragi, arresti, fucilazioni per strada e dentro le case; processi speciali e carceri speciali, condanne speciali e torture per il pentimento, pestaggi e lusinghe per la dissociazione, e pene infinite per gli altri.
La strage di Piazza Fontana, mi ricorda il buon libro di Giorgio Boatti dal titolo omonimo. Ma il triste film di Giordana mi ha ricordato un altro libro, meno conosciuto, dello stesso autore: “Preferirei di no” , ci racconta le storie di dodici professori universitari che, nel 1931, non accettarono l’imposizione di Mussolini di giurare fedeltà allo stato fascista. Dodici su 1250, pochi. Dodici che persero il lavoro e anche la libertà per non condividere le canagliate di quello stato. Forse Giordana non sa che negli anni Sessanta e Settanta furono molti più di dodici quei magistrati, poliziotti, funzionari dello stato che abbandonarono il loro posto e il loro stipendio, dirigenti di partito e sindacato che rinunciarono ai loro incarichi, perché non volevano condividere le porcherie del sistema di potere democristiano. Molti di più dei dodici degli anni Trenta, forse per la coscienza più matura, forse per il minor costo che si pagava. Lasciare la polizia o la direzione della Dc non si veniva arrestati in quegli anni. E allora perché Giordana non ci racconta come mai i suoi due eroi principali (Calabresi e Moro), pur nauseati dalle schifezze cui erano immersi e consenzienti, non hanno lasciato rapidamente i loro posti e sono andati a gridare in giro ciò che avevano visto?
Penso sia superfluo ricordare che uno degli eroi del film, non solo non lasciò la direzione della Dc, ma nel 1974 fu capo di un governo (23.11.1974 – 12.02.1976 -IV gov. Moro) che partorì la maggior quantità di legge liberticide nella storia repubblicana di questo paese, prima fra tutte la omicida “legge Reale” che ha insanguinato le strade con centinaia e centinaia di morti ai posti di blocco; un governo che ha bloccato la “riforma carceraria” e che ha dato mano libera ai padroni per licenziare i lavoratori più attivi. ecc., ecc.
Ma che bravo il nostro Stato puro e democratico che ogni tot si sciacqua i panni della propria non sempre troppo gloriosa storia confezionando un bel prodotto di regime ad ampia diffusione, in modo che tutti lo vedano e capiscano (quello che “loro” vogliono che vedano e capiscano ben si intende) e tuttobenemadamalamarchesa tanto la storia la scrive chi vince, così è sempre stato e così sempre sarà e amen.
E così a distanza di tanti anni si danno tutti i potenti mezzi di cui si dispone ad un regista pacato, per bene e dai buoni sentimenti, quelli che accontentano tutti grandi e piccini, il quale a sua volta chiama a rapporto della recitazione la “meglio gioventù” nostrana, quella sperimentata nel corso degli anni e che intrattiene, fa piangere e fa ridere il cinema intelligente marchiato PD ex DS ex PDS ex margherita ex salaminchia perche tanto ora che si arriva fino all’ex PCI si diventa vecchi tutti, con le rassicuranti facce da eroi buoni ma non contaminati di Mastandrea, Favino, Gifuni, Lo Cascio (manca solo Boni come mai ? era impegnato in quella schifezza di fiction su Walter Chiari pace all’anima sua ?), e si racconta al volgo della domenica (o del venerdì sera, perché qualche volta è bello che tutta la famiglia veda insieme la storia italiana) la favola bella per le anime belle e “al culo tutto il resto” come cantava anni fa Francesco Guccini: signori e signore è il momento di spiegare alle nuove leve cosa accadde a piazza fontana e dintorni.
Questa premessa la scrivo per spiegare perché quel film mi ha da un lato addolorato e dall’altro fatto arrabbiare e molto, ora mi sforzo di prendere fiato e cerco di essere pacato nel dire che cosa non è giusto che non venga detto e che cosa non è giusto che venga detto in quel film, anche se io ed altri non contiamo nulla perché evviva Rai Cinema, evviva Giordana ed evviva l’Italia per bene che piace tanto al Presidente Napolitano.
Non è giusto saltare a piè pari tutto quello che è successo in quel 1969 in Italia quando ci fu la gigantesca rivolta operaia e studentesca che modificò in pieno l’onda sessantottina, visto che quella bomba (o quelle bombe ci arriveremo) trovano il senso reattivo che hanno avuto nei successivi anni settanta anche e molto da lì.
Non è giusto saltare quello che accadde a sinistra in quel 1969 con il più clamoroso parricidio che vide la nascita di tanti movimenti extra-PCI a causa della nuova politica “occidentalista” di Berlinguer, e si parla di realtà immense tipo Lotta Continua, Manifesto, Avanguardia Operaia, Movimento Studentesco et similia.
Non è giusto “saltare” che quella/e bomba/e dopo l’autunno caldo fu la prima di una serie di azioni fasciste volte a creare il rischio effettivo e percepito da una intera generazione di un colpo di stato nel nostro paese sulla scia di Grecia et similia fino al Cile, e che tanto per dire vide nel passaggio sessanta/settanta in fila e senza soluzione di continuo i moti di Reggio calabria, il golpe Borghese, le bombe di Brescia e dell’Italicus, Almirante al suo massimo storico nel 1972, la maggioranza silenziosa che sfilava per milano, e i morti, i tanti morti ammazzati dai fascisti per strada (e viceversa), già a cominciare dalla manifestazione commemorativa dell’anno dopo con l’assassinio dello studente Saltarelli in via Bergamini.
Non è giusto “saltare” che la resistenza anti-fascista di piazza di quegli anni fu stroncata con cariche e morti dalla polizia, ed è assurdo fare vedere all’inizio Calabresi che si indigna per un manganello quando era lui ed altri che comandavano quei manganelli e cariche, e non è giusto non fare capire che in breve si arriverà a Giorgiana Masi, ai carri armati di Cossiga in pieno centro di Bologna etc.
Non è giusto saltare che dopo quel primo parricidio sorsero ulteriori e più radicali parricidi con movimenti molto più insurrezionali come Potere Operaio et similia che poi sfoceranno nella miriade degli autonomi che nel 1977 riempiranno Bologna con più di 600.000 persone, molta parte delle quali, dopo il fatto Moro e la operazione Calogero targata PCI, passeranno alla lotta armata diffusa del micidiale biennio 1979/1980.
Non è giusto saltare che già nel passaggio della decade a cavallo di quella bomba nascevano i primi gruppi di lotta armata (GAP, 22 ottobre, BR e Nap) anche come forma di reazione alla “resistenza tradita” dai vari governi democristiani alla Tambroni, mito che quella bomba ulteriormente innescò, e mettere la morte di Feltrinelli lì alla cavolo e senza un prima e senza un dopo, è assurdo, come è assurda la figura di Moro qui interpretato dal fascinoso Gifuni.
Ed ora partendo proprio da Moro veniamo alle balle clamorose e finalizzate al messaggio del film di regime.
Moro non c’entrava una sverza con quel fatto e nel 1969 non era l’uomo pio e buono che aveva scoperto il malaffare italiota ma uno dei principali leader del partito che aveva governato il paese dal dopoguerra senza interruzione, e contro quel governo e quella italia c’era ormai una intera generazione in fermento.
La vicenda Moro entrerà diciamo così in quel contesto solo molto dopo ed in occasione della più micidiale operazione spacca-sinistra della storia italiana, quando, dopo il golpe cileno, Berlinguer disse ai compagni comunisti (intervista a rinascita nel 1973) che con il voto si poteva solo andare al governo con quella odiata DC che di quella bomba molti di quei compagni ritenevano corresponsabile, e questo fu fatto certamente insieme a Moro ma tutto appunto avvenne dopoe non c’entra nulla con piazza Fontana.
Quindi inserire artatamente la figura di Moro durante le indagini su piazza Fontana per potere poi abbinare nel finale didascalico i morti della strage di piazza fontana alla uccisione di Moro da parte delle BR è operazione squallida e vergognosa.
Calabresi non ha spinto Pinelli certo, ma di sicuro lo tenne ostaggio per più di tre giorni in questura perché convinto della sua colpevolezza e senza neppure avvisare la moglie quando si sfracellò nel cortile della caserma che comandava, quindi descrivere la scena in cui i due amiconi vanno in libreria a scambiarsi libri dichiarandosi amore eterno è altrettanto vergognosa e per entrambi i cui familiari infatti si sono astenuti dal partecipare alle celebrazioni del film. Un conto è pacificare le due vedove al quirinale anni dopo altro conto è raccontare la storia come non era.
Fare credere che Calabresi, come sembra dal film, sia stato ucciso perché stava scoprendo la verità su piazza fontana limitandocisi a mettere la attrice cotonata che fa la Cederna al processo per diffamazione a LC, è una ulteriore balla clamorosa e vergognosa.
E non ho ancora parlato pensate un po’ del problema “centrale” del film ossia della ricostruzione dell’attentato dove sposa di base le tesi del noto libro di Cucchiarelli (di cui sono stati acquistati i diritti dal produttore), secondo il quale anche gli anarchici avrebbero messo una bomba in banca ma una bomba “buona” a differenza di quella “cattiva”….messa magari proprio da Valpreda o dal suo sosia. Capisco la assenza ai fasti anche della famiglia di Valpreda a quest punto e del resto è in buona compagnia con tutti i protagonisti veri e diretti di allora assai critici verso il film e verso il libro di Cucchiarelli, buon ultimo persino il celebre testimone Lorenzon.
Ovvio peraltro visto che nel film il gruppo dei fascisti padovani viene descritto come un manipolo di bulli di paese sfigati e dialettali intenti al massimo a lucidare la moto per la festa del sabato, e che si incontrano e non si capisce bene perchè con un improbabile Giannettini che viene si da Roma ma sembra un guardone con l’impermeabile fuori dalla scuola della santa maria assunta.
Mi fermo qua anche perché mi si dice che è un film e non un documentario, e per di più si intitola “romanzo”, peccato che il “romanzo” vorrebbe raccontare al paese un quindicennio fondamentale nel quale per ragioni diciamo così politiche sono state sepolte migliaia di persone o al cimitero o in una lunga galera.
Si voleva rendere omaggio ai tre eroi buoni di una Italia sepolta e che oggi guarda raggiante al futuro con le facce di Mastandrea, Favino e Gifuni in un mix buonista di romanzo criminale e della meglio gioventù ??? Bene operazione riuscita, bravi.
Resta il fatto che se qualche nostro figlio dovesse, dopo avere visto il film, chiederci “ma come mai quel giorno sono morte tutte quelle persone in quella banca ?” poi non dobbiamo stupirci…
P.S. molto bravi gli attori mi dicono in molti.
Certo, anche se (e non per colpa loro) Favino non sembra per nulla un anarchico incazzato di quegli anni, Mastandrea non sembra un poliziotto cazzuto di quegli anni e Gifuni non sembra il capo astuto e pretesco del partito egemone di quegli anni, sono davvero carini tutti e tre, al punto che ci ricordano tanto i due fratelli di gran cuore della meglio gioventù che vanno al nord in vacanza salutare e pacifista con l’amico, peccato che quei tre lo facessero, se ben ricordate quel film, prima che in Italia cominciasse…tutto.
Incisive e puntuali queste critiche! Le condivido in pieno! Il problema, caro Davide, è che un tempo queste parole trovavano gambe per camminare e, che so, andare a contestare là dove si proiettava e spiegare nelle piazze per filo e per segno – come fai tu – le porcherie rappresentate da Giordana. Oggi sembra che le gambe si sono anchilosate…