Gli adempimenti della giustizia di classe
Francia, un giovane di origini senegalesi è accusato di oltraggio a pubblico ufficiale. È un reato che riguarda più di 15.000 condanne all’anno, circa un terzo delle quali dà luogo a pene d’incarcerazione. In questo caso il giovane è recidivo, il fatto non ha testimoni, si tratta della parola degli agenti contro la parola di un giovane di periferia. In una simile situazione, l’indiziato è ritenuto colpevole prima di essere giudicato, sulla base dei suoi precedenti, della sua attitudine e dell’ambiente di provenienza. Nella zona dove risiede i fermi e le perquisizioni personali sono frequenti, senza che ci sia alcun motivo; anche il suo fermo è avvenuto senza motivo. Il comportamento del giovane alle interrogazioni del giudice non è remissivo, risponde bruscamente facendosi riprendere dalla corte, così accentua la cattiva impressione che il suo fascicolo penale ha prodotto sui giudici. Il giudizio riguarda più quello che il ragazzo è che quello che ha fatto. Si giudica ciò che si pensa abbia fatto alla luce di ciò che si pensa che egli sia.
La presenza delle forze di polizia nelle varie zone delle città e il loro modo di comportarsi non sono distribuite in maniera casuale. Le forze dell’ordine vengono concentrate, secondo logiche di controllo, su determinati territori e nei confronti di precise fasce di popolazione, per “ricordar loro il posto” che debbono avere nella società. Verso queste minoranze si tende a ribadire che sono “categorie di persone sulle quali la polizia esercita un potere superiore” su delega della società, sono quindi “proprietà della polizia”. I giudici dovrebbero dotarsi di strumenti per capire cos’è successo e perché. Invece, il mondo sociale al quale appartiene il giovane, o più esattamente l’idea che ne hanno i magistrati, aumenta il sospetto nei suoi confronti: l’immagine dei quartieri in difficoltà, con i suoi fattori criminogeni, finisce per aggravare il dossier dei reati passati e dell’infrazione giudicata, invece che renderli più comprensibili. In secondo luogo, le attitudini relazionali a cui il ragazzo può fare ricorso e il modo di esprimersi, non corrispondono alla norme e alle attese dei giudici. Il ragazzo parla male di fronte alla corte, indispone i magistrati, lascia supporre che abbia parlato male anche con i poliziotti. Diversi studi sociologici hanno dimostrato che queste due cause innalzano le disparità sociali osservate nelle decisioni di giustizia. L’udienza viene rinviata per l’assenza di uno dei tre poliziotti e il giudice dispone la detenzione provvisoria in carcere per il giovane.
Le disparità e le logiche su cui si basano queste osservazioni sono tanto più evidenti quando mettiamo a confronto questo caso con un altro giudicato nello stesso giorno.
Il tribunale, subito dopo l’oltraggio e la resistenza a pubblico ufficiale, ha dovuto esaminare il caso di uno studente denunciato per aver malmenato e violentato la compagna. I fatti sono chiari e accertati: i medici riscontrano lo stupro oltre a sei giorni di ospedale per le percosse che la ragazza ha subito, era già finita in ospedale, giorni prima, per una frattura a un dito. L’aggressore è di origine francese, di classe media, è assistito da un avvocato pagato dai suoi genitori, questi sono presenti all’udienza. Questo ragazzo parla bene, ha un atteggiamento umile, nega i fatti più gravi ma si dice dispiaciuto per gli altri e promette di non commetterli più. Il presidente si mostra meno impaziente che riguardo al caso precedente. All’accusato viene concesso il tempo di esprimersi e l’arringa della difesa è insolitamente prolissa. Il verdetto è una condanna a sei mesi di prigione con la condizionale; la vittima dello stupro resta sola al banco e a testa bassa, appare ancora più succube.
Il ragazzo di origini senegalesi accusato di aver risposto male e aver opposto resistenza a dei poliziotti che lo perquisivano senza una ragione, se ne va in prigione, mentre lo studente di buona famiglia, accusato di aggressione fisica e sessuale reiterata, se ne va a casa.
La distanza dei due mondi degli accusati hanno spinto il giudice a provare animosità per il primo e mansuetudine per il secondo. Non ha considerato che come giudice deve non solo decidere se la persona accusata ha commesso il fatto, ma anche se può essere ritenuta legalmente responsabile. Ossia se abbia agito in maniera intenzionale, e non invece senza averne la capacità di discernimento. [tratto da: Didier Fassin, Punire- una passione contemporanea, Feltrinelli, pag. 127-136]
Nota: il codice penale francese prevede una condanna da 6 a 12 mesi di prigione per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale, mentre le violenze sessuali sono passibili da 5 anni, aumentati a 15 in caso di stupro e aumentati ulteriormente se l’atto ha provocato ferite, come in questo caso.
=*=*=*=
Un altro caso nel 2016. Stati Uniti: uno studente bianco dell’università di Stanford, campione di nuoto, riconosciuto colpevole di stupro di una giovane ragazza incosciente è stato condannato a 6 mesi di jail (piccola struttura di detenzione temporanea, gestita da governi locali e supervisionata dai dipartimenti di sceriffi della contea, progettata per detenere persone arrestate di recente che hanno commesso un reato minore, mentre la prison è di solito una grande struttura statale o federale destinata a ospitare persone condannate per un crimine grave e le cui condanne superano i 365 giorni. La prison può essere tradotta con “penitenziario”) e a tre anni di probation (è una esecuzione penale esterna, una misura alternativa o sanzione sostitutiva del carcere, in Italia qualcosa di simile è chiamata “messa alla prova”) dopo aver negoziato. Qualche settimana dopo per un altro stupro commesso da un immigrato proveniente da San Salvador che parlava male inglese, lo stesso giudice ha emesso condanna a 3 anni di detenzione in una prison. Entrambi erano senza precedenti.
Qualcuno/a ha ancora dubbi che la giustizia sia di classe e come tale opera?
Denuncia utile e importante; ci sono studi già pubblicati ed evidenze lampanti di questa “ingiustizia su base etnico-culturale o economica”; occorre continuare a denunciare; d’altra parte chi come me è stato denunciato e processato per “oltraggio, violenza e resistenza” per aver detto a un poliziotto che aveva scambiato il padiglione auricolare di un bambinello rom per un manico di valigia, conosce la fantasia che -non solo la polizia ma anche i pm-esprimono spesso su cosa si debba intendere per “oltraggio , violenza,resistenza”…
Nel carcere minorile poi gli “ospiti” sono quasi tutti immigrati ma sono “ospiti” quasi sempre per impraticabilità materiale di misure alternative domiciliari , fermo restando che il carcere “non va bene” nè per immigrati nè per autoctoni.
Ricordo infine le osservazioni e denunce di Tobie Nathan sulla assurdità della repressione carceraria nei confronti di immigrati del Togo per loro costumi certo criticabili …ma se a ogni critica dovesse corrispondere la detenzione carceraria …
Vito Totire
La Giustizia di classe a proposito di RECIDIVI : un compagno del Collettivo carceri di Pistoia, rinviato a giudizio per aver sottratta una forma di formaggio pecorino da un furgone e,unica prova a suo carico, era di averlo trovato a casa con le mani che profumavano del formaggio; al processo, il Presidente del Tribunale gli chiese se era pentito di ciò che aveva fatto e cosa avrebbe fatto in futuro; il compagno rispose che,per necessità, avrebbe continuato in tale “attività”. Essendo già recidivo, il Presidente lo condannò senza esitazione e senza approfondire le ragioni del “reato”.