Qualche giorno fa, sabato 27 luglio 2019, si è aperto a Cardiff (al Bute Park) nel Regno Unito il 17° torneo internazionale di calcio: La Homeless World Cup, il campionato al quale possono partecipare esclusivamente squadre composte da senzatetto (homeless). Il campionato durerà fino al 3 agosto 2019.
I media ci informano che oltre 500 giocatori rappresenteranno 51 Nazionali per un totale di 64 squadre provenienti da tutto il mondo: come nelle ultime edizioni. Ci saranno 48 team che scenderanno in campo per la competizione maschile/mista, per contendersi sei trofei a disposizione; mentre la competizione femminile vedrà partecipare 16 squadre per due categorie.
Nel 2009 la città ospitante è stata Milano.
L’idea di organizzare un torneo di calcio per senzatetto venne a Mel Young, cofondatore della Big Issue Scotland, e Harold Schmied, editore della Megaphon, durante l’International Network of Street Papers Conference tenutasi a Città del Capo nel 2001.
Fin qui le cronache
Devo confessare che non ne sapevo nulla e non immaginavo che dei big riuscissero a fare profitti perfino sugli “ultimi”, sui mendicanti, sui senzatetto. È un errore pensare che il capitalismo abbia dei limiti; non ne ha nessuno. È in grado di fare affari su tutto, senza la minima attenzione a ciò che può provocare: dallo sterminio di milioni di esseri umani, alla distruzione dell’ambiente. È sufficiente osservare lo spazio mediatico offerto ai “Giochi Paralimpici, o Paraolimpiadi” equivalenti dei Giochi olimpici per atleti con disabilità fisiche, fissati dalla legge n. 189 del 15 luglio 2003 “Norme per la promozione della pratica dello sport da parte delle persone disabili”. Nella pratica, contrariamente al titolo della legge, abbiamo visto un proliferare di inni nazionali, bandiere, ori e argenti, conditi con commenti pieni di prosopopea nazionalistica, ma nelle periferie delle città e anche nei quartieri del centro non abbiamo visto campetti e attrezzature per disabili e scivoli per accedere a negozi, bar e nemmeno ai marciapiedi, non parliamo dei mezzi pubblici. Si ignorano i veri problemi delle persone con disabilità ma si lancia una piccola élite di queste nella società dello spettacolo, nella speranza di far dimenticare le deficienze della politica e dello stato.
La Homeless World Cup, ci dimostra che i big sanno fare business e profitti anche sugli ultimi: gli homless, i senzatetto. Quelle persone, i “miserabili”, descritti magistralmente da Victor Hugo, persone cadute in miseria, ex forzati, prostitute, monelli di strada, studenti in povertà – la cui condizione non era mutata né con la Rivoluzione né con Napoleone, né Luigi XVIII, in Francia e ovunque in Europa.
Quando hanno cominciato ad alzare la testa, con proteste e rivolte, questi poveri sono diventate le classi pericolose.
Possiamo immaginare quanta ripugnanza e disprezzo homeless e senza tetto possono nutrire per chi li ha dileggiati e perseguitati per secoli. Ripercorriamo il loro cammino in questa parte del mondo.
Nel 1717 in Francia il gesuita Andrea Guevarre, affronta il tema della “mendicità” per farla scomparire, individuando in queste masse diseredate il potenziale formarsi delle “classi pericolose”. Si adoperò quindi per la reclusione dei poveri in modo da sopprimere la mendicità. Un’opera che Guevarre continuò nel regno Sabaudo a Torino tra il 1720 e il 1724 dirigendo l’Ospedale della Carità.
Col suo saggio del 1717, dal titolo “La mendicità sbandita col sovvenimento de’ poveri”, più volte ristampato nello stato sabaudo, offrì lo strumento a Vittorio Amedeo II per mettere in pratica una riforma sulla mendicità. L’individuazione dei poveri come “classi pericolose”, non solo da assistere ma da controllare. Da controllare per mezzo dell’assistenza. L’assistenza dei poveri veniva avocata a se dallo stato sabaudo, quell’assistenza tradizionalmente affidata alla chiesa e ai nobili privati.
Questo sistema centralizzato di assistenza doveva permettere, ed era questo l’obiettivo centrale, un controllo capillare di questa massa crescente di poveri che era, ogni momento, sul punto di esplodere, diventando una “massa pericolosa”.
L’obiettivo era ambizioso, una sorta di “Bossi-Fini” o di decreto sicurezza “Salvini” di quasi tre secoli prima: si trattava di instaurare un rigido controllo sull’immigrazione dei poveri dai piccoli borghi alla città dove era possibile praticare la mendicità. Il problema della povertà veniva centralizzato presso l’Ospedale della SS. Carità, funzionante come luogo di smistamento in cui i poveri potevano essere: ricoverati; condotti in carcere; oppure rispediti, con la forza, ai luoghi di origine.
Lo vediamo chiaramente: passano i secoli ma l’opera schifosa dei governi è la stessa!
Un sistema antesignano dei CIE, poi CPR. Lo scopo che si prefiggeva il provvedimento era di ridurre la mobilità dei poveri e il loro addensarsi nelle città. L’obiettivo non fu raggiunto del tutto, nonostante dispendio di forza ed energia, poiché le ragioni che spingevano i poveri a inurbarsi erano talmente profonde da essere inarrestabili. Allo stesso modo dell’immigrazione in questa fase.
Oggi si legge di volta in volta su un giornale locale, notizie di questo tipo:
-«La Provincia di Como»: Mendicanti, maxi retata in centro–Fermate e identificate 70 persone.
-Sassuolo Daspo per tre accattoni. Il sindaco: «disposto per ragioni di sicurezza e decoro urbano».
Il francese Guevarre non è stato il primo: la persecuzione e repressione della mendicità risale al XVI secolo nell’Inghilterra lanciata nella follia dell’industrializzazione accompagnata dall’esproprio delle terre dei contadini diventati, grazie a questi provvedimenti di rapina, dei senza proprietà, ossia proletari da far lavorare e sfruttare nei campi come braccianti o negli opifici come operai.
Così descrive questa fase Marx: [Il Capitale, libro I, cap 24] «Non era possibile che gli uomini scacciati dalla terra per lo scioglimento dei seguiti feudali e per l’espropriazione violenta e a scatti, divenuti eslege, fossero assorbiti dalla manifattura al suo nascere con la stessa rapidità con la quale quel proletariato veniva messo al mondo. D’altra parte, neppure quegli uomini lanciati all’improvviso fuori dall’orbita abituale della loro vita potevano adattarsi con altrettanta rapidità alla disciplina della nuova situazione. Si trasformarono così, in massa, in mendicanti, briganti, vagabondi, in parte per inclinazione, ma nella maggior parte dei casi sotto la pressione delle circostanze. Alla fine del secolo XV e durante tutto il secolo XVI si ha perciò in tutta l’Europa occidentale una legislazione sanguinaria contro il vagabondaggio. […] 1530: i mendicanti vecchi e incapaci di lavorare ricevono una licenza di mendicità. Ma per i vagabondi sani e robusti frusta invece e prigione.
Poi: Enrico VIII 1530: i mendicanti vecchi e incapaci di lavorare ricevono una licenza di mendicità. Ma per i vagabondi sani e robusti frusta invece e prigione. Debbono esser legati dietro a un carro e frustati finché il sangue scorra dal loro corpo; poi giurare solennemente di tornare al loro luogo di nascita oppure là dove hanno abitato gli ultimi tre anni e « mettersi al lavoro » (to put himself to labour)…
…Elisabetta, 1572: i mendicanti senza licenza e di più di 14 anni di età debbono essere frustati duramente e bollati a fuoco al lobo dell’orecchio sinistro …
…Giacomo I. Una persona che va chiedendo in giro elemosina viene dichiarata briccone e vagabondo. I giudici di pace nelle Petty sessions (Tribunali locali.) sono autorizzati a farla frustare in pubblico e a incarcerarla, la prima volta per sei mesi, la seconda per due anni. …
…Leggi simili in Francia, dove alla metà del secolo XVII si era stabilito a Parigi un reame dei vagabondi (royaume des truands). Ancora nel primo periodo di Luigi XVI (ordinanza del 13 luglio 1777) ogni uomo di sana costituzione dai sedici ai sessant’anni, se era senza mezzi per vivere e senza esercizio di professione, doveva essere mandato in galera. Analogamente lo statuto di Carlo V dell’ottobre 1537 per i Paesi Bassi, il primo editto degli stati e delle città d’Olanda del 19 marzo 1614, il manifesto delle Province Unite del 25 giugno 1649, ecc….
Così la popolazione rurale espropriata con la forza, cacciata dalla sua terra, e resa vagabonda, veniva spinta con leggi fra il grottesco e il terroristico a sottomettersi, a forza di frusta, di marchio a fuoco, di torture, a quella disciplina che era necessaria al sistema del lavoro salariato….»
Nasce così «…il grande internamento»: nel corso di pochi decenni migliaia di esseri umani furono rinchiusi in grandi istituzioni, che in Francia presero il nome di «ospedale» (“hôpital”), in Germania e in Olanda di «penitenziario» (“Zuchthaus”, “tukthuys”) e in Gran Bretagna di «casa di lavoro» e «casa di correzione, (“workhouse”, “correction house”)». Fonti storiche relative a diversi paesi d’Europa indicano che le persone internate erano perlopiù poveri vagabondi, mendicanti, gente senza lavoro o senza fissa dimora che commettevano delitti contro la proprietà.
Leggendo questi pezzi di storia siamo presi dallo sdegno: è una vergogna!, molti di noi urlano. Si certo, è una vergogna, ma rispondiamo silenziosamente a questa domanda: quanto questi provvedimenti, queste vergogne hanno condizionato la nostra cultura? Quanto “fastidio” ci dà chi non si conforma ai nostri “stili di vita”?; ed è molto diverso da “noi”; da noi produttori, da noi consumatori, da noi osservanti delle leggi? Ci danno “fastidio” i nomadi, i mendicanti, i rom e i sinti, i senza fissa dimora, quelli sporchi e fannulloni, quelli che vivono di piccoli furti e tanti, tanti che riteniamo troppo “diversi”.
È un fastidio che si manifesta con brutalità razzista per chi è dominato da un’ideologia reazionaria e nostalgica; è un fastidio leggero e contenuto per chi è progressista, decisamente democratico e di sinistra. Ma il fastidio c’è, viene respinto, rimosso, attenuato, ma c’è.
Dunque ne dobbiamo fare di strada! E tanta! In marcia!!!