Movimento per l’abolizione del carcere

Amo in te
l’avventura della nave che va verso il polo
amo in te
l’audacia dei giocatori delle grandi scoperte
amo in te le cose lontane
amo in te l’impossibile
entro nei tuoi occhi come in un bosco
pieno di sole
e sudato affamato infuriato
ho la passione del cacciatore
per mordere nella tua carne.
amo in te l’impossibile
ma non la disperazione
Nazim Hikmet 1943]

Sembra inammissibile ma non è irrealizzabile

Rilanciamo   UN MOVIMENTO PER L’ABOLIZIONISMO DELLE GALERE

È giunto il tempo!

Da più parti si sottolinea il completo fallimento del sistema carcerario. Il carcere, così come ogni altro sistema che priva della libertà, non ha raggiunto nessuno degli obiettivi che si era ripromesso nel suo lungo tragitto di circa trecento anni: infligge troppe sofferenze, non rieduca, non reinserisce, né il timore di una punizione impedisce di trasgredire la legge.

Gli ideatori, i teorici e i responsabili del sistema carcerario affermavano che la prigione avrebbe contrastato la criminalità e/o contenuto la recidiva.

Niente di tutto ciò si è verificato. Fallimento completo!

È obbligatorio a questo punto domandarci: come mai il carcere, pur contando solo fallimenti, è ancora al centro della pratica repressiva? Come mai continua a essere il cardine del mantenimento di quest’ordine?

Svelare questa farsa, che dura da troppo tempo, non può essere disgiunto dalla volontà di incamminarci con decisione nella prospettiva di mettere fine al sistema sanzionatorio basato sulla privazione o limitazione della libertà, ossia del carcere e di tutte le strutture e gli apparati consimili.

È TEMPO DI ABOLIRE LE PRIGIONI!

Da parte di alcune persone si contesterà quest’obiettivo in un momento in cui i settori ultra-reazionari della società sono all’attacco. Non è un momento favorevole, diranno. Invece proprio per queste ragioni dobbiamo rilanciare, proprio oggi, una proposta importante che raccolga l’entusiasmo di chi vuole impegnarsi in percorsi per la trasformazione sociale, ma anche di chi non vuole rassegnarsi a sottomettersi al giogo oscurantista.

Ciascuna e ciascuno di noi sarà giunta/o a considerare questo approdo abolizionista attraverso particolari esperienze, diversi percorsi oppure specifiche analisi teoriche e sociologiche.

Diversità di prassi e conoscenze che deve rimanere e risaltare a dimostrazione che, da qualsiasi punto lo si guardi, il carcere non ha nessuna finalità utile, è soltanto ripugnante.

I diversi percorsi, attraverso cui si è giunti a concepire l’abolizione del carcere, è bene che si esprimano per permettere di raggiungere vari settori sociali.

La proposta di queste righe è di collegare e coordinare tutte le attività già esistenti critiche verso il carcere, per iniziare la costruzione di un Movimento abolizionista del carcere (M.Abo.C) e di tutte le strutture che privano o limitano la libertà.

Chiunque sia interessato a questo comune cammino abolizionista è importante che espliciti, nei tempi e nei modi che ritiene opportuni, le proprie valutazioni sul perché ritiene necessario mettere fine al sistema carcerario. Tutte queste opinioni potremo metterle su un blog o sito espressamente realizzato per questo scopo, in modo che ciascuna e ciascuno possa riconoscersi in uno o più analisi espresse.

Ciascun collettivo (anche se formato da una sola persona) continuerà l’attività che ha in corso sui diversi terreni di contrasto alla repressione e di solidarietà con chi la subisce, attività che, probabilmente, si incentiverà col contributo di altri collettivi. Il blog o sito comune permetterà di condividere tutte le informazioni in possesso di ciascuna/o, di conoscere al meglio la realtà carceraria e repressiva, di coordinare tutte le varie battaglie, potenziandone ciascuna e inserendola nella prospettiva di messa in discussione dell’opera punitiva e l’esistenza del sistema penale e repressivo con al suo vertice il carcere! Ciascun collettivo o gruppo non dovrà cambiare la pratica su cui è impegnato, soltanto aggiungere a ogni intervento o iniziativa l’indicazione che si sta operando per l’abolizione delle galere. All’interno di ogni vertenza, grande o piccola, locale o generale, si potrà lanciare e chiarire che il vero obiettivo per riformare la galera è la sua abolizione!

=*=*=*=

Questa proposta è rivolta a tutte e tutti. Quelle che seguono sono le mie valutazioni sul perché ritengo sia giunto il tempo di abolire le carceri. Non è necessario essere d’accordo con le righe che seguono per operare nel Movimento abolizionista. Come detto sopra si propone un movimento diversificato e plurale, che voglia abolire il carcere.

Per me è prioritario conoscere e criticare risolutamente il punto di vista con cui le culture e le società, succedutesi negli anni, hanno osservato il carcere:

– finora è stato conosciuto e accettato come un luogo separato, isolato, non comunicante con la società in cui rinchiudere persone per espellerle dal consesso sociale;

– la persona rinchiusa è stata considerata come un meccanismo da correggere;

– questa visione ha fatto da contrappeso alla convinzione che la società che giudica ed espelle sia un organismo unitario e coeso da mantenere pulito e non contaminato da corpi estranei infetti.

Il carcere, come affermano tutte le persone che l’hanno conosciuto o seriamente osservato, non ha mantenuto nessun intento di quelli promessi. Allora perché è ancora in piedi con un’importanza enorme? E un costo altrettanto enorme? Evidentemente il carcere compie un’altra funzione, non detta, non esplicitata: il carcere è una droga ideologica di massa per lenire le tante paure, i rancori e i risentimenti maturati da chi vive questo tempo:

-la paura proviene più che altro da fattori economico-sociali, come il rischio di perdere il lavoro o di non trovarlo, di non riuscire a ripianare i debiti e i mutui, ecc.;

-il rancore e il risentimento segnalano che i risultati attesi da ciascuna/o non sono stati raggiunti, ma si è rimasti/e nell’anonimato;

-le paure, i rancori e i risentimenti vengono dirottati dal coro monotono delle istituzioni e dei media contro un ipotetico nemico. È un nemico che muta fisionomia, di volta in volta, per adattarlo alle tensioni prodotte da paure e rancori. La presunta esistenza del nemico porta con se la voglia di annichilirlo, di rinchiuderlo, di espellerlo, di isolarlo. Ciò si realizza attraverso il carcere!

Sotto gli effetti di questa droga ideologica, il carcere viene stimato come un elemento inevitabile e permanente della nostra vita sociale. Per alcune forze politiche dovrebbe addirittura espandersi (in Italia le presenze in carcere sono raddoppiate nell’ultimo quarto di secolo mentre i reati diminuivano, in Europa analogamente, negli Usa addirittura è cresciuta di 7 volte la popolazione carceraria). Uomini e donne si sono abituate alla sua presenza, fa parte del panorama, sembra “normale”, “naturale”. È il punto di arrivo della sudditanza di massa che ha interiorizzato la perdita della capacità di un pensiero critico e autonomo. Non riusciamo a mettere in dubbio l’esistenza del carcere, così dello sfruttamento, delle guerre, degli armamenti, dei massacri di massa, ecc., considerati avvenimenti che debbano esistere, che fanno parte di questa civiltà. Il carcere fa talmente parte del nostro mondo che ci vuole una grande immaginazione per concepire una vita sociale senza galera.

L’ideologia del carcere ce lo rappresenta come un luogo astratto in cui vengono relegati gli individui concreti, quelli indesiderabili, liberando la restante popolazione dall’onere di interrogarsi sul perché di certi comportamenti e assolvendola dalla responsabilità di riflettere sulle reali problematiche che affliggono specifici strati sociali. Così sulle paure, sui rancori e sui risentimenti che maturano all’interno di comunità impoverite e penalizzate da scelte economiche pessime. Da questi settori provengono la gran parte delle persone detenute. L’ideologia che perpetua l’esistenza del carcere è una sorta di fede che ci illude di alleggerirci dal compito di affrontare seriamente i problemi della nostra società, di lottare per imporre ai governi cambiamenti politici sostanziali, oppure di cambiare governi e regimi.

Il carcere non è riuscito a tener fede alla promessa di essere una delle tante soluzioni escogitate per combattere la criminalità; il carcere, al contrario, si è dimostrato parte del problema in grado di espandere e rafforzare la criminalità. Ormai lo dicono da ogni parte, soprattutto i dati che registrano nel 70% la percentuale di chi, uscendo dalla galera, si incammina di nuovo per la strada che lo ha portato dentro; chi entra giovane per una lieve trasgressione, ne esce aggregato a qualche banda. Percentuale che si riduce soltanto per chi non compie tutta la condanna in carcere ma la parte finale la trascorre in misura alternativa, fuori dal carcere.

Perfino la cronaca degli attentati avvenuti in Europa, negli ultimi anni, per mano dei cosiddetti “terroristi” ci racconta storie di ragazzi molto giovani incarcerati per furti di piccola entità o per piccolo spaccio e poi “radicalizzati” in carcere e usciti con tutto l’odio necessario per vendicarsi con attentati. È la cronaca dell’ultimo attentato di Strasburgo dell’11 dicembre 2018; a nessuno è venuto in mente di domandarsi perché Chérif Chekatt, l’attentatore di 29 anni autore di lievi furti e piccolo spaccio, è stato messo in carcere? Considerato che anche il buon senso, oltre le norme sulla custodia cautelare, lo sconsigliava?

A questo punto, poiché è vastissima la produzione di analisi e ragionamenti per farla finita con la barbarie della carcerazione, degli istituti minorili e dei centri di detenzione per immigrati, provo a ripercorrere alcune delle tante e diverse valutazioni che hanno portato molte e molti a intraprendere il cammino abolizionista. Sono valutazioni che condivido, e sfido chiunque a porre argomentazioni in grado di contrariale.

Prima però vorrei proporre quella che è per me la valutazione primaria. Eccola: quali elementi vogliamo mettere alla base di una società tutta da costruire decisamente alternativa a quella attualmente imperante? Insomma, se ci battiamo per rivoluzionare questo regime economico, sociale, relazionale e culturale e per costruirne un altro più consono alle necessità delle persone, intorno a quali elementi di fondo vorremo costruirla? Per questo mi sento di affermare che uno di questi valori non può che essere: costruire una società senza galere! Una società che non abbia bisogno del carcere per mantenere il proprio assetto sociale! Con tutto il corollario che ne segue, ossia senza repressione, senza giudici e punizioni, senza padroni, senza proprietà privata inegualmente dislocata, senza codice penale, ecc.

Per me è importante questo aspetto perché ovunque si sentono lamentele sullo scarso impegno delle persone giovani nei confronti dell’attività politica tesa alla trasformazione sociale. Invece di lamentarci, perché non ci domandiamo quanto grande è il vuoto culturale che esprimiamo nei confronti dei grandi temi sociali? Per quale traguardo dovrebbero appassionarsi queste ragazze e ragazzi? Forse per qualche ritocco qua e là che non cambi sostanzialmente le caratteristiche attuali? Maddai! Non possiamo illuderci che possa entusiasmare, che so, uno sfruttamento un po’ meno brutale, una disoccupazione con qualche briciola in tasca, quando la realtà presenta un futuro nero e terrificante il cui esito dipenderà da fattori esterni, non certo dalla nostra volontà, né capacità! Nessuno e nessuna si coinvolgerà per costruire una società che mantenga il carcere, casomai un po’ più pulito e abbellito!

Per quanto mi riguarda voglio essere chiaro. Il movimento che si propone l’abolizione delle galere contiene in se la proposta di costruzione di una società che non abbia bisogno di galere, di arresti, di condanne, di punizioni, di repressione, di giudici, di proprietà privata e di gerarchia. Una società in cui le persone non vengano utilizzate da chi investe capitali in una attività, chiamata impropriamente “lavoro”, che invece è solo appropriazione della “forza lavoro” altrui per accumulare profitti; un’attività che produce crescita del capitale e ricchezza per i capitalisti e un misero salario, non sempre sufficiente alla sopravvivenza e col terrore di perderlo, per la stragrande maggioranza delle persone.

Il carcere e la punizione, il giudizio e la condanna, l’espiazione e l’apparato carcerario sono tutte panacee per evitare di affrontare e trasformare le relazioni sociali ed economiche guaste e corrotte in cui siamo immersi:

*se una società espelle, emargina e scaccia dal proprio interno chi trasgredisce una regola, non è una società includente e ha in se la base del razzismo;

*se una società ha bisogno del carcere, è una società malata;

*se una società non sa regolare le relazioni e non accetta i conflitti tra le persone, ma deve ricorrere al terrore della punizione e della carcerazione, è una società che non persegue la giustizia sociale;

*se per affrontare problemi sociali o politici, tossicodipendenze, emigrazione, innalzamento del conflitto, si fa ricorso al carcere, la società si sta militarizzando distruggendo quel poco di democrazia;

*se per far rispettare le regole una società sa solo emarginare e ghettizzare, elargire sofferenza e annichilimento a chi ha difficoltà di adeguarsi, è una società che non ha legittimità;

*se di fronte alle trasgressioni delle regole, che possono produrre sofferenza ad altre persone, l’unica risposta che la società propone è quella di imporre altrettanto dolore e sofferenza, se non di più, è una società deforme;

*se una società non è capace di ridurre le trasgressioni che producono sofferenza, ma solo imporre altra sofferenza, è una società brutalmente vendicativa;

*se una società non ha la capacità di mettere in discussione quelle norme che vengono trasgredite da molte persone, cercando di cambiarle, è una società imbalsamata;

*se una società pretende che debba essere il detenuto ad “adattarsi” alle regole della punizione ed evita di assumersi gli oneri e le responsabilità di realizzare sanzioni che si adeguino alle persone, è una società che infrange il dettato costituzionale: “le pene … debbono tendere alla rieducazione del condannato” [Art.27 Carta Cost].

Di fronte ai problemi sociali ed economici che si intensificano, le classi dirigenti, che siano nelle istituzioni, nell’imprenditoria o nella finanza, non cercano di predisporre soluzioni politiche ed economiche che operino nel senso delle aspettative delle masse sfruttate e oppresse, ma mettono in campo soltanto risposte “militari” di controllo e repressione. È un esercizio che appartiene a tutte le diverse anime delle classi dirigenti; esempio brillante sono i due pacchetti sicurezza recenti, il primo del ministro dell’interno Minniti (2017), il secondo del ministro dell’interno Salvini (2018 e 2019). I due appartengono a schieramenti “opposti”, si dividono la platea parlamentare, ma la concezione della “sicurezza” risulta molto simile, squallidamente la stessa.

Una prima riflessione si impone: l’arco delle classi dirigenti e tutte le istituzioni hanno gli stessi intenti: fermare con ogni mezzo la ripresa del conflitto di classe, incrementare lo smembramento, la dispersione e la disorganizzazione della forza lavoro e delle nuove generazioni, per diminuirne la capacitò di conflitto e, conseguentemente, il costo della forza lavoro.

Ed ecco il risultato: ennesima compressione degli spazi e delle agibilità sociali che le classi subalterne si erano conquistate per lottare, per non piegarsi all’attacco padronale.

Dunque emergenze, pacchetti sicurezza, tentativi di azzeramento delle conquiste degli anni passati, militarizzazione delle città, trasformazione dei comportamenti consueti e legittimi del conflitto di classe in reati del codice penale (blocco stradale, occupazione di edifici, picchetto, ecc.) e il codice penale si dilata. Codice penale vuol dire carcere. Difatti il carcere continua a inghiottire sempre più proletari nonostante i reati siano in forte diminuzione.

Nelle carceri si moltiplicano i drammi propri della detenzione: sovraffollamento, impennata dei suicidi, aumento delle morti per mancata assistenza (nel 2018, 67 i primi, 148 i secondi), Ma anche aumento dei tentati suicidi e degli atti di autolesionismo (oltre diecimila), forte incremento degli scontri tra persone detenute e guardie che, raramente oggi, conquistano la dimensione di lotta collettiva.

Qui emerge un punto importantissimo su cui concentrare le energie e la determinazione di chi vuole relazionarsi costruttivamente con chi sta dietro le sbarre. Massimo sforzo nel sostenere e contribuire a impiantare lotte collettive organizzate là dove c’è scontro individuale tra guardia e persona detenuta.

Basta carcere! Aboliamolo!

Pensate che sia un obiettivo massimo? Troppo avanzato? Che ci vorrà troppo tempo?

Il tempo che ci vorrà dipenderà in gran parte dalla capacità di mobilitazione che donne e uomini sapranno esprimere, ma almeno saremo certi che ogni passo fatto, anche piccolo, sta andando nella giusta direzione. Al contrario se ci si incarta nella ricerca di contorte e improbabili riforme, che comunque non potranno funzionare in questo contesto, ci si incammina su una strada che conduce a sempre più carcere.

Nei prossimi post elencheremo i contributi abolizionisti dagli anni Sessanta a oggi.
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3 risposte a Movimento per l’abolizione del carcere

  1. kleovis ha detto:

    buongiorno Salvatore, aderisco al Movimento, traduco il testo in greco e lo spedisco in alcuni collettivi nei prossimi giorni. Ti auguro il meglio, michele

  2. contromaelstrom ha detto:

    Grazie Michele, proseguiamo il cammino, senza lacrime per le rose (Nanni Balestrini)

  3. Pingback: Κίνημα για την κατάργηση της φυλακής – Αέναη κίνηση

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