Un quesito inopportuno: chi ci sta in carcere?

È una domanda che non rivolgiamo né a noi stessi né ad altri perché siamo convinti che la risposta sia scontata: in carcere ci stanno i “delinquenti”. Ma chi sono?

Oggi 16 maggio, il ministro della giustizia Alfonso Bonafede del M5s ha esclamato: «Rilevo che in Italia c’è una emergenza corruzione … i cittadini italiani devono sapere che lo Stato è dalla loro parte». Anche al suo insediamento, un anno fa, si era indignato perché i detenuti per i «reati dei colletti bianchi» erano soltanto lo 0,6 per cento del totale delle persone recluse.

Che stranezza!, stupirsi per un dato che da sempre conosce chi vuol conoscerlo e che è nei tantissimi testi di analisi che spiegano la nascita del carcere e la sua funzione.

La popolazione reclusa si modifica, cresce o diminuisce, aumentano alcuni gruppi sociali reclusi, oggi sono gli immigrati, ieri erano i tossicodipendenti, ma permangono alcune costanti fondamentali. Una di queste risiede nell’immagine che la gente comune ha del carcere e di chi vi è rinchiuso. Un’immagine non basata sulla conoscenza reale, ma imposta da quanto viene quotidianamente propagandato dai media. Oggi, come ieri, la propaganda mediatica è insistente e chiassosa, quando tratta le numerose inchieste riguardanti il malaffare, il mondo della corruzione, gli appalti truccati, i fondi illeciti ai partiti, ecc. ecc. Tutto questo convince la popolazione che la macchina punitiva dello Stato operi in prevalenza nei confronti di chi è colpevole di questi importanti illeciti penali.

Menzogna più grande non è mai stata detta! È un’ennesima prova dell’ignoranza del ceto politico, di quello imprenditorale-finanziario, dei media, ecc. I numeri confermano un’altra “verità” che molti non vogliono accettare. Una “verità” che ci dice che in carcere ci stanno e ci vanno le persone appartenenti alle classi subalterne, nei momenti in cui le loro condizioni di esistenza si complicano, ci vanno per essere educati ad accettare la propria “sorte” di proletari operosi e rispettosi dell’ordine capitalista anche se affamati. Il carcere ha una funzione classista!

Le società esistenti in area capitalista hanno nel carcere, comunque la si pensi, un’ossatura e un dispositivo disciplinante, essenziale al mantenimento dell’ordine produttivo ed esistenziale della società stessa.

Siamo tutte e tutti plasmati dal carcere, non solo chi sta “dentro”. Anche noi che stiamo “fuori” ne siamo condizionati anche se non ce ne rendiamo conto!

Diciamocela tutta: ci dà “fastidio” chi non si conforma ai nostri “stili di vita”, chi è diverso da “noi”, noi produttori, noi consumatori, noi obbedienti. Ci danno “fastidio” i nomadi, i mendicanti, i rom e i sinti, i senza fissa dimora, quelli sporchi e fannulloni, quelli che vivono di piccoli furti e tanti, tanti che riteniamo “diversi”. Quel “fastidio” è forte e razzista per chi è dominato da un’ideologia reazionaria e nostalgica; è un fastidio leggero per chi è progressista, decisamente democratico e molto di sinistra, quel “fastidio” viene combattuto. respinto, rimosso, attenuato… ma c’è!

È vero che i reati commessi dai cosiddetti “colletti bianchi” non sono ben definiti. Sono dati che si deducono dalla quantità di persone detenute per tipologia dei reati commessi e la percentuale di individui nelle carceri di ciascun paese oscilla secondo la definizione di questi reati.

Il senso più diffuso definisce “reati dei colletti bianchi” quelli commessi da soggetti con incarichi pubblici o privati di vertice. I reati sono, ad esempio, la corruzione, la bancarotta, il falso in bilancio, la frode, l’appropriazione indebita, la truffa, ecc. La definizione che ne ha dato il criminologo e sociologo statunitense Edwin Sutherland è quella più condivisa. Li ha elencati in un trattato: Il “Crimine dei Colletti Bianchi, 1949 secondo cui, sono illeciti quelli che può compiere soltanto chi è posto a un elevato status sociale e chi esercita quelle professioni che garantiscono loro opportunità negate a tutti gli altri.

Sutherland, riferendosi alle grandi società commerciali statunitensi e ai reati da esse compiuti nel corso della Seconda Guerra Mondiale, scriveva: «[…] Nel corso di una guerra in cui era messa in pericolo la civiltà occidentale, le grandi società non hanno sacrificato i propri interessi né hanno partecipato di buon animo alla politica nazionale ma, al contrario, hanno cercato di sfruttare la situazione di emergenza come un’occasione per straordinari arricchimenti a spese altrui. Ma se queste imprese non ebbero riguardo per il benessere sociale in una situazione di particolare pericolo per l’intera civiltà, a maggior ragione esse saranno incapaci di dare un contributo alla politica nazionale in tempi normali. A muoverle è l’interesse egoistico e il desiderio di avvantaggiarsi sugli altri, il che le rende costituzionalmente inidonee a cooperare alla vita sociale del paese». [da Il Crimine dei Colletti Bianchi 1949]

I numeri sono questi:

Al giugno 2018, nelle carceri italiane sono state contate 370 persone che rispondono alla definizione sopra indicata. Ossia lo 0,6 per cento del totale delle persone detenute che a quella data ammontavano a circa 59.000.

Secondo i dati Istat, queste 370 persone erano detenuti per “peculato, malversazione e altri delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione”. Questo in Italia.

Vediamo nel resto d’Europa:

*il rapporto “Statistiques Pénales Annuelles du Conseil de l’Europe”, pubblicato periodicamente dal Consiglio d’Europa ha elaborato una media tra i 27 paesi membri del Consiglio d’Europa, delle persone detenute per la stessa tipologia di reati che, nell’anno 2017 è del 6,3 %.

Bella differenza con lo 0,6%, no????

Eppure non in tutti i paesi si strilla lo slogan “mandiamo i corrotti in galera”. Evidentemente più si grida meno si opera nella realtà. Vale per tutti i problemi che attanagliano le società moderne. Altri paesi hanno una percentuale di “colletti bianchi” nelle carceri superiore alla media europea, la Germania il 13,2% e la Francia il 5,8%, ma non si parla di corruzione come qui da noi!

Tutti gli altri che affollano le carceri italiane, chi sono? qualcuna/o domanderà (lo spero vivamente, anche se oggi le domande scarseggiano)? Eccoli qua: il 30% dei detenuti è punito per violazione della legislazione sulle sostanze stupefacenti, consumatori e piccoli spacciatori anche di sostanze innocue come la marijuana, in Europa la media è il 15%. Al 30 aprile 2019 le persone nelle carceri italiane sono 60.439, di cui 20.324 straniere, il 33%. Una percentuale altrettanto grande per reati contro il patrimonio. In Germania il numero di detenuti per reati in materia di droghe è pari a quello dei detenuti per reati economico-finanziari, entrambi il 13,2%.

Vediamo le presenze in carcere da un altro punto di vista: tra le persone recluse, 505 hanno la laurea; 4.125 hanno diploma di scuola media superiore o professionale; 21.793 hanno la licenza di scuola media o la licenza elementare; il resto nessun livello di scolarità.

Un’ulteriore conferma ci viene dalla lunghezza della condanne da scontare. Sul totale delle persone detenute, circa diecimila hanno avuto una condanna inferiore a tre anni e addirittura ventimila hanno un residuo pena ancora da scontare inferiore a tre anni. Tutti quelli che invocano la “legalità” ci dovrebbero spiegare perché queste persone rimangono in carcere nonostante la legge 21 febbraio 2014, n. 10 (Conversione in legge del decreto 23.12.2013 n.146 “Riduzione controllata della popolazione carceraria”), renda possibile l’avvio alle “misure alternative”, quindi al di fuori del carcere, per chi ha una pena residua di 3 anni e anche 4 in alcuni casi particolari.

Nella loro freddezza, i numeri ci ricordano che, al di la di tante chiacchiere ideologiche, utili a dirottare le paure e il malessere della popolazione, il carcere continua a funzionare con lo stesso congegno che ha sempre avuto dalla sua origine: incarcerare la povertà, deportare il disagio sociale – rinchiudendolo – penalizzare l’emarginazione e la difficoltà di inserimento sociale. Tutto ciò in omaggio alla conservazione dell’attuale ordine produttivo e distributivo capitalista.

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3 risposte a Un quesito inopportuno: chi ci sta in carcere?

  1. Sandra Berardi ha detto:

    Nei dati statistici riportati manca un dato essenziale: i migranti rappresentano il 33% dei detenuti, mentre il 99% del rimanente 67% è meridionale. Il 99,9 dei detenuti di AS1 e 41bis è meridionale.

  2. contromaelstrom ha detto:

    Ciao Sandra, grazie per la nota, io ho inserito questo dato e li ho definiti “stranieri”, che nel sito ufficiale del ministero della giustizia equivale a migranti, qui: “Al 30 aprile 2019 le persone nelle carceri italiane sono 60.439, di cui 20.324 straniere, il 33%”. Io pigramente ho riportato quel termine (copia e incolla), ma in effetti hai ragione tu, meglio chiamarli immigrati e inserire anche i meridionali, considerando lo spostamento continuo da una regione a un’altra. Un caro saluto, Salvatore

  3. Gianni Landi ha detto:

    Ogni periodo storico ha avuta una ripartizione dei detenuti nei Carceri e nei Manicomi giudiziari in base alla tipologia dei reati commessi, alla “evoluzione” e tipologia degli stessi. Negli anni ’60-’80 le imputazioni, e relative detenzioni, erano connesse in larga parte alla “contestazione sociale”, con relativa Repressione. In definitiva, chi non si allinea alle “Linee guida del Potere” ( finanziario ), come fanno i “Colletti bianchi” ( tangenti, sovvenzione illecita ai partiti, corruzione,infiltrazione mafiosa), viene carcerato ed emarginato come sottoprodotto della scala sociale.

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