da Il Messaggero di oggi 12 agosto 2015-08-12
«Stefano, morte misteriosa in carcere a Pordenone. Il prete-amico: «Sembra un altro caso Cucchi»
«Ho l’impressione che sia un altro caso Cucchi…». Cucchi, l’altro Stefano morto a trent’anni mentre era in custodia cautelare all’ospedale Pertini di Roma, un caso che ebbe grande impatto sull’opinione pubblica. Don Andrea Ruzzene non lancia accuse, il suo è soltanto un presentimento. Da sabato non si dà pace per Stefano Borriello, il ventinovenne di Portogruaro deceduto in seguito a un malore mentre era in carcere a Pordenone (era in custodia cautelare da due mesi per sospetta rapina). «Purtroppo – afferma riferendosi in generale alle istituzioni – è stato abbandonato, nessuno si prendeva cura di lui e sono stati fatti degli sbagli incredibili».
Il giovane bussava spesso alla porta della parrocchia della Beata Maria Vergine Regina, in via Sardegna. A volte per parlare, altre volte perché aveva bisogno di assistenza. Giovedì scorso don Andrea è andato a trovarlo in carcere. «Erano le 9.30 – racconta – Mi hanno detto che non poteva venire perché aveva la schiena bloccata. Volevo andare in cella, entrare come ministro del culto, ma non è stato possibile».
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Il carcere è ancora lì. E continua a uccidere. Non sono le mele marce che uccidono o feriscono. Non è questo o quel secondino con le mani pesanti; è il sistema carcerario che va messo sotto accusa e smantellato.
Non possiamo accettare che lo Stato tolga la libertà a che trasgredisce la legge, a chi attenta la proprietà privata. È un sopruso che lo Stato si è attribuito per favorire il sistema della proprietà sui mezzi di produzione, il sistema capitalista; e lo usa per devastare e annientare le persone recluse. Lo Stato borghese tratta le ore di libertà come fossero ore di lavoro prestato al capitale; come forza lavoro operaia scambiata con un misero salario che serve appena a riprodurre quella forza lavoro, eliminando gli esuberi. Tu fai un certo danno alla proprietà e all’ordine sociale (capitalista) e lo stato ti toglie tante ore di libertà equivalenti a quelle ore di forza lavoro necessarie a produrre quella merce sottratta, riparare quel danno arrecato. Si chiama “sistema retributivo”. È il sistema sanzionatorio che ha accompagnato l’industrializzazione il dominio del sistema di sfruttamento, l’affermazione del capitalismo su tutto il pianeta.
Come in fabbrica l’appropriazione della forza lavoro operaia da parte del capitalista porta all’annullamento della personalità e delle capacità operaie, così in carcere l’appropriazione del tempo di vita (la libertà) da parte delle Stato porta all’annullamento della vita reale della persona reclusa.
Abolire il carcere significa abolire il sistema capitalista. Tutte le chiacchiere sull’umanizzazione della galera appartengono a una mentalità succube del potere.
È urgente procedere alla messa in discussione del carcere, perché il carcere continua a uccidere e devastare!!!
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