17 Maggio 2015 a Napoli presentazione “Cos’è il carcere”

Domenica 17 Maggio 2015  a  Napoli presentazione “Cos’è il carcere” ore 18  ex OPG Je So’ Pazzo Via  Imbriani 218, Napoli 11261928_661196997320300_1185512538347381580_n    “Cos’è il carcere” è uno di quei libri da rileggere più volte per poterne scoprire un senso sempre nuovo. La trama sottile e delicata del racconto soggettivo della vita da prigioniero, fa da contraltare alla forza di un’analisi politica che non può non leggere quest’istituzione all’interno di un sistema sociale che produce e perpetua sfruttamento ed esclusione.

Il carcere è un Non-luogo che per il suo solo esistere produce immediatamente una serie di contrapposizioni ineludibili: il dentro e il fuori, il noi e il loro, il me e gli altri.

Sopravvivere si può se non si lascia scivolare via il ricordo di cosa c’è che ti attende al di là delle mura: le relazioni affettive, le abitudini di vita, il senso di appartenenza a una collettività e a una parte politica che sono spesso l’iniettore di forza di questa resistenza.

Così ci si aggrappa a tutto ciò che è fuori e a chi aspetta con la propria stessa impazienza il momento della scarcerazione, scrivendo, mantenendo strenuamente il contatto con la vita che scorre all’esterno, ancorandosi a quei ricordi e a quegli obiettivi che la routine della prigionia inevitabilmente altera o rischia di spazzare via.

Sopravvivere si può se si costruiscono e cementano legami di fratellanza e di comunità fra chi si trova dallo stesso lato dei cancelli; se non ci si rassegna a subire inermi la violenza della parte avversaria, quella che la sua sfida eterna e senza tregua te la lancia non appena varchi la soglia della prigione cogliendoti solo ed impreparato, quella che ti lascia scegliere soltanto se provare a salvarsi o soccombere, se tenere alta la testa o lasciarsi annichilire.

Si intessono così relazioni intense fra compagni di viaggio con storie diverse e spesso incontrati per caso, quelli con cui provare a dividersi il dolore, nonostante la consapevolezza che ci si trova inevitabilmente soli a fare i conti se stessi. Sono i compagni che ti affiancano e verso cui ti senti in colpa quando arriva il giorno della libertà e devi lasciarli là dentro, separartene come se si trattasse di un abbandono.

Infine, sopravvivere si può se ci si allea con quella parte di sé che vuole farcela e che non rinuncia a lottare; quella che alla sospensione e alla negazione del tempo, alla limitazione dello spazio, alla violenza sui corpi, alla frustrazione, all’abulia e alla depressione vuole sopravvivere e controbattere. Così scorrono i giorni nell’addomesticamento del dolore e nella tensione continua della lotta all’istituzione carceraria, nell’incessante desiderio e nella pianificazione della rivolta e dell’evasione.

Si impara di giorno in giorno a riappropriarsi dei propri sensi, a leggere ogni rumore e ogni silenzio, a fare dei corridoi i luoghi non calpestati della socialità e della comunicazione. Si impara ad ignorare il ronzio della luce che è qualcun altro a decidere se tenere accesa o spenta. Si impara a fare dei ritmi imposti e della routine gli scogli a cui ancorarsi per non lasciarsi andare allo smarrimento.

Dal carcere si esce, ma come si esce da una trincea: mutilati per tutto ciò che per troppo tempo è stato negato con la forza, con il fardello pesante della memoria di ciò che è stato, degli incubi che sai già che non ti abbandoneranno, del marchio a vita di chi è stato dentro.

In tempi i cui la popolazione carceraria aumenta esponenzialmente di pari passo con il tasso di suicidi e di tentati suicidi, in tempi in cui la cultura del carcere addomestica i prigionieri addestrandoli incessantemente all’individualismo, alla delazione, al disciplinamento e alla premialità per “buona condotta”, sempre più diffuse e impalpabili sono quelle forme di limitazione della libertà definite come “misure alternative di detenzione”, che portano l’istituzione anche al di fuori delle proprie mura, camuffandola e rendendola più difficilmente riconoscibile e avversabile.

Ritessere il rapporto fra dentro e fuori ora che è l’istituzione stessa a rompere questa compartimentazione è condizione necessaria per rafforzare la lotta al carcere, ma soprattutto al modello sociale che grazie ad esso è perpetuato e cristallizzato nel tempo: quello della “separazione fra classi operose e classi pericolose”, quello che assorbe alcuni in un sistema di produzione basato sullo sfruttamento e che al tempo stesso ne rigetta molti altri, gli esclusi, gli alienati.

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4 risposte a 17 Maggio 2015 a Napoli presentazione “Cos’è il carcere”

  1. ellagadda ha detto:

    Ciao Salvatore,
    mi permetto di darti del tu, ho saputo che sei stato a Foggia a novembre e, purtroppo, ho perso l’incontro. Hai per caso altre date in programma in Puglia (magari di nuovo a Foggia)?

    • contromaelstrom ha detto:

      Ciao, grazie del “tu”. Si sono stato allo “Scuria” e per ora nulla di programmato, ma penso che ci si potrà rincontrare a Foggia. Le compagne e i compagni di quel Centro sono stati/e veramente in gamba e propositivi. Se dovesse ripresentarsi un altro incontro a Foggia o da quelle parti te lo farò sapere. Un abbraccio, Salvatore

      • ellagadda ha detto:

        Bene, allora ci conto, nell’attesa ho un inviato incaricato di prendermi il libro a Napoli, che mi piacerebbe leggere prima di un futuro incontro 🙂

  2. sergiofalcone ha detto:

    L’ha ribloggato su sergiofalcone.

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