Siamo in piena estate. Un’estate in cui le condizioni di vita peggiorano di giorno in giorno. È quella cosa che viene chiamata “crisi” ma che non è altro che una continua e brutale aggressione dei capitalisti (dei padroni) alle condizioni di vita di milioni di persone appartenenti alle classi subalterne, ai lavoratori.
Anche i media rigurgitano di “notizie preoccupanti”, “allarmi”, “emergenze”, come a dire “le cose vanno male per voi, abbozzate e arrangiatevi!”
Stessa solfa anche per il “dramma delle carceri”, sono sovraffollate, sporche, antigieniche, carenti di tutto, perfino dell’acqua, ecc. E anche qui il senso è: “tenetevele!”
Eppure qua e là… nelle carceri si organizzano proteste, scioperi del vitto, sciopero dell’aria, battiture delle sbarre…
…in questa estate si comincia a sentire un urlo provenire dalle carceri. È ancora un urlo soffocato, strozzato, reso flebile dal timore di osare…
…in questa estate, vogliamo che riecheggi in ogni piazza il dramma delle carceri…
…da ogni piazza esploda una fortissima critica al carcere…
…in ogni carcere giunga la solidarietà forte e totale, l’appoggio indiscutibile da tutte le piazze…
Portiamo il carcere nelle piazze ma non per lamentarci delle condizioni che si vivono dentro quei luoghi senza tempo, né per chiedere a chi ha costruito quei luoghi di pena e li
imbottisce di corpi umani di “alleviare la pena”.
Se ci lamentiamo e chiediamo ai potenti, non facciamo altro che riprodurre quel meccanismo per cui chi è subalterno e soffre deve chiedere a chi impone quella sofferenza di diminuirla, perpetuando così il potere, il carcere, la pena, la subalternità.
Non servono “nuove leggi”, non servono “regolamenti più umani”, non serve cambiare questo o quel particolare. Il carcere e il suo gemello, il “sistema della pena” vanno posti fuori del nostro orizzonte. Vanno demoliti innanzitutto nella nostra mente.
Dobbiamo portare il carcere nelle piazze, per suscitare l’odio verso il carcere.
Quel mostro bastardo –la segregazione–, ideato da uomini per distruggere altri uomini e donne va odiato, criticato, attaccato. Solo così si potrà ridurre il supplizio che il mostro impone a chi ci viene gettato dentro.
Criticare, attaccare, delegittimare il sistema della punizione e del carcere è l’unico modo per avvicinarne la fine e per smussarne le ruvidezze oggi, quelle che producono maggiore angoscia e dolore.
Da ogni piazza vogliamo sentire una corrente di rabbia e di odio verso il sistema carcere e il sistema punitivo penale che ne è il motore. Una corrente che valichi le mura, scaldi e rianimi lo spirito di lotta dei detenuti.
Vogliamo sentire giungere dalle piazze, fin dentro le celle, la solidarietà di chi è “fuori” verso chi è “dentro”, solidarietà che dev’essere impegno a sostenere le proteste dentro il carcere, e divulgarne i contenuti, e anche a rinforzare, con tutti i mezzi, la protesta: costruire Casse di Solidarietà per il sostegno economico dei detenuti, costruire reti di informazione e divulgazione delle proteste e dei suoi contenuti.
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