Dal confronto tra due periodi: il decennio 1960-69 e il decennio 2000-09, la frequenza dei suicidi tra i detenuti è più che triplicata, mentre la frequenza dei tentativi di suicidio è aumentata addirittura di 15 volte.
Negli anni dal 1960 al 1969 la presenza media nelle carceri era di 32.754 detenuti, i suicidi sono stati 100 e i tentativi di suicidio 302, pari a un tasso rispettivamente di 3,01 e 9,24 su 10.000. (media: 10 l’anno)
Negli anni dal 2000 al 2009 la presenza media è stata di 58.000 detenuti, i suicidi sono stati 736 e i tentativi di suicidio oltre 8.000, pari a un tasso rispettivamente di 10,32 e 142,94 su 10.000. (media: 56,6 suicidi l’anno). Le morti in generale sono circa 160 morti in generale l’anno. E sono in crescita!
Perché questa impennata verso l’alto dei suicidi? Lo spartiacque avviene nel 1986. Prima di allora la rabbia dei detenuti scagliava la violenza prodotta dalla carcerazione contro le cose della prigione: rivolte e distruzioni di suppellettili e mura; e contro i carcerieri: sequestro di guardie, scontro con le stesse.
Dopo il 1986, la rabbia dei detenuti, e la conseguente violenza, è stata indirizzata altrove: suicidi, tentati suicidi e atti di autolesionismo: oltre 10.000 l’anno.
Il punto di vista dei media e dell’opinione pubblica benpensante è entusiasta: sono cessate le rivolte, il carcere è stato “pacificato”. I corpi dei detenuti ne risultano massacrati, ma questo all’opinione pubblica non interessa granché!
Cosa ha fatto cambiare direzione all’espressione della rabbia dei prigionieri? È stata l’introduzione del carcere “premiale”. Prima il carcere erogava solo violenza e ne riceveva dai carcerati altrettanta. Ora il carcere eroga ancora tanta violenza ma anche premi, in cambio pretende che il carcerato rispetti il carcere e i carcerieri altrimenti perde i premi (permessi, sconti di pena, misure alternative, ecc.). Il prigioniero è così “costretto” a indirizzare la violenza, che ha maturato dentro, verso se stesso.
Il benpensante dirà: il sistema premiale ha tolto la violenza dal carcere (ha messo fine
alle rivolte), se fosse sincero dovrebbe riconoscere che il sistema premiale ha semplicemente indirizzato altrove la violenza del prigioniero: verso il proprio corpo.
I dati, osservati onestamente, ci dicono che, in termini di costi umani, la quantità di violenza è molto aumentata nelle carceri, ma si vede di meno!
Per questo affermiamo che il carcere non è riformabile!
Bravo Salvatore!! è in questo modo che si spiegano ai contemporanei, militanti e non, le ragioni della nostra rivolta anche armata (leggasi Nuclei Armati Proletari) seguente gli anni “60-’69 contro il “sistema” repressivo delle lotte in atto nel paese dentro e fuori il carcere. Sono arrivato a metà del libro di Steccanella “Gli anni della lotta armata” da te caldeggiato e continuo a preferire di gran lunga il tuo libro “Maelstrom” e quello di Prospero Gallinari “Un contadino nella metropoli” perchè fanno capire e condividere il percorso e la deriva lottarmatista dei gruppi extraparlamentari numerosissimi di quegli anni ’70-’80. Il nostro percorso di intervento politico e sindacale era propositivo nel senso di rivendicazione concreta nel volere una convivenza sociale completamente diversa da quella esistente nel quotidiano operaio, studentesco, carcerario, familiare. La nostra rivolta e di tutti coloro che si ribellavano negli anni ’60-69, non era una rivolta armata; furono “loro”, apparati statali in Italia ed all’estero con l’intervento e la collaborazione di politici, partiti e sindacati a reprimere “mano armata” chiunque si ribellava allo status quo. In Italia cominciarono nel ’69 a reprimere i braccianti di Avola e Battipaglia sparando od alla Bussola della Versilia lasciando infermo per tutta la vita il compagno Soriano Ceccanti che come noi militanti del Potere Operaio pisano eravamo andati disarmati per contestare il capodanno padronale che aveva licenziato alla Siant Gobin, alla Upim ed alla Marzocco.Dal 1969 fu tutto un susseguirsi di attentati dinamitardi fascisti e di uccisioni di nostri compagni operai , studenti e detenuti nelle piazze e nei carceri. Occorre evidenziare questo aspetto della situazione politica in quegli anni in Italia ed all’estrero (qui mi riferisco al Vietnam, al Sudamerica ed a tutti quei paesi cosidetti comunisti come la Polonia, l’Ungheria ecc.). Tornando al libro di Steccanella vorrei evidenziare che è stato scritto da una brava persona molto ben informata dal punto di vista di una cronaca giudiziaria sciorinata in maniera incalzante quasi giornaliera che scatena una ondata ormonale adrenalinica vissuta da coloro che seguono gli avvenimenti di quegli anni da tifosi e non da militanti. Questa è la mia impressione ricevuta leggendo questo libro per ora soltanto fino a metà. Speriamo mi sbagli. Gianni Landi