LA RELIGIONE.- Letteradi P. C.
San Vittore, 3 maggio 1971.
… Uno dei “cardini” del trattamento rieducativo è la religione. Che essa oggi come oggi possa essere considerata spinta efficace alla rieducazione, è un inganno, soprattutto per come viene intesa l’opera del cappellano nel carcere. Tuttavia, considerata sotto gli aspetti istituzionali, terreno caritativo, essa ha ancora un peso notevole: inoltre è strumentalizzata quale elemento di repressione psicologica, serve a indurre rassegnazione e invita all’ipocrisia, in quanto il detenuto vede il prete solo come una pedina da muovere per ottenere elemosine o raccomandazioni. Le “pie dame” e le “ancelle di redenzione” che corrispondono coi detenuti non fanno altro che amplificare e trasportare all’esterno questa condotta ipocrita. Noi pensiamo che tutto ciò debba essere spazzato via, e che si debba smettere di considerare il detenuto come un deficiente, un peccatore da redimere, un pazzo pericoloso, un povero sciagurato. Sia il rifiuto che l’odio che il paternalismo verso di noi vanno superati, son tutti metodi errati di approccio al problema.
Lettera di S. N.
San Vittore, 27 luglio 1971.
Molti non conoscono la funzione del sacerdote nel carcere, che nella realtà è… nulla. Ne ho conosciuto molto bene uno: il cappellano di Volterra. Ha assunto l’ufficio da poco più di un anno, sostituendo un suo collega deceduto. Conoscete già il penitenziario di Volterra, conoscete la sua funzione repressiva, conoscete il suo comandante fascista e il suo direttore imparentato con un alto papavero della D.C. Subito, don R. venne in cella a farmi visita e la prima impressione fu buona, pensai che forse, col suo aiuto, sarebbe stato possibile incrinare il regime bestiale che esiste in quel penitenziario, ma ahimè, dovetti immediatamente cambiare idea. Per un bel pezzo i linciaggi scientifici e a freddo, da parte delle guardie sui detenuti continuarono. Un bel giorno mi decisi a parlargli per metterlo di fronte alle sue responsabilità: negò qualsiasi aiuto, sostenendo che in quel carcere i più escono “pericolosi”, che lui, pur volendo, non avrebbe potuto intervenire, anche perché la magistratura non prendeva in considerazione denunce che non fossero suffragate da prove. Feci notare che molti detenuti le prove se le portavano sulle… ossa! niente, al nostro amico, prete di Volterra, manca il coraggio civico di assumersi qualsiasi responsabilità. Quando vennero deportati a Volterra, i “ribelli” di Torino, e furono pestati tutta la notte in aggiunta alle botte che avevano già preso alle carceri “Nuove” durante l’ultima rivolta, il “buon pastore” non si fece vedere ed evitò qualsiasi presa di posizione (secondo il costume vigente tra i nostri cappellani che scompaiono immediatamente al primo pericolo di contestazione nel carcere).
LAVORO: Prima del 1975 così si lavorava in carcere. I detenuti si ribellarono anche contro questa condizione