Roma, 26 novembre 2016: un nuovo movimento occupa la scena?
Noi siamo le nipoti delle streghe che non siete riusciti a bruciare
Non si vede spesso, di questi tempi, un corteo di 200.000 persone attraversare la città. Un corteo di donne, non-una-di-meno, contro la violenza degli uomini sulle donne. Un corteo che, oltre il numero eccezionale, ha portato con se alcune inconsuetudini che ci presentano l’interrogativo sopra riportato. Ossia: sta crescendo un movimento con caratteristiche nuove, non raffigurabile con le categorie usuali, che non si può collocare negli schemi interpretativi del linguaggio politico-sociale vigente?
La violenza degli uomini sulle donne non è un problema nuovo. Da sempre le donne e le compagne hanno messo in atto iniziative, battaglie culturali, proposte economico-sociali, conflitti di ogni tipo, per liberare le donne da queste aggressioni.
Come ha espresso con grande efficacia il movimento femminista degli anni Settanta, è questo un punto centrale nel percorso di liberazione della donna. Lo abbiamo letto nella miriade di striscioni, di cartelli e di cartoncini vergati a pennarello, l’abbiamo sentito risuonare nelle grida gioiose e/o rabbiose che hanno smascherato l’oppressione che proviene dall’ambito familiare, da quello imprenditoriale, governativo e istituzionale, per far arretrare le donne dai punti di forza conquistati nei decenni passati, e comunque fermarne l’avanzata.
A ciò si aggiunge un disinteresse colpevole delle formazioni della politica, anche quelle di sinistra, anche di estrema sinistra, reso più grave dai preoccupanti segnali provenienti dalla stessa realtà sociale, schiacciata dalle difficoltà di vita e dalla cultura dominante tesa all’arrivismo egoistico e alla prevaricazione.
Provo a mettere a fuoco alcuni elementi per rispondere all’interrogativo del titolo.
Nel recente passato abbiamo conosciuto movimenti innovativi che hanno segnato una discontinuità, spesso una rottura col passato. Quei movimenti ci hanno insegnato come identificarne uno nuovo osservando le caratteristiche che lo contraddistinguono, con quelle messe in atto in rottura con l’esistente clima politico. Le abbiamo viste anche il 26:
-il ritrovarsi accomunate in un forte sentimento di identità collettiva al di là delle appartenenza delle singolarità. Le tessere di adesione politica e sindacale, differenti tra loro, che ciascuna/o aveva in tasca, non hanno modificato in nulla l’espressività di quel corteo;
-accomunate in una identità non dipendente da ideologie, ma costruita dal reticolo di una miriade di aggregati di donne presenti in molte parti del territorio, attive e responsabili, dalla rete dei centri antiviolenza e tanto altro.
-un muoversi lungo un cammino che prevede azioni del tutto indipendenti dalle dinamiche istituzionali e dal quadro politico, senza interesse per il colore dei governi, lontane dagli inciuci parlamentari, dai compromessi sindacali, ecc., nella consapevolezza che c’è qualcosa di più profondo da cambiare che non sia un equilibrio di governo;
-unite e consapevoli di provocare mutamenti sociali attraverso cambiamenti di comportamenti, rotture della cultura esistente e determinazione a produrne altra, con la forza della mobilitazione, delle azioni, di un percorso di lotta per spazzar via i ruoli e iniziare una profonda rivoluzione culturale segnata da una ancor più profonda discontinuità politica;
-nei cartelli e nelle grida non si trovava una rivendicazione specifica, isolata, da trasformare in legge, non una richiesta alle istituzioni delegate a “fare” le scelte concrete;
-emergeva, al contrario, il portato antistituzionale che, se pur affermato dall’appello di convocazione, veniva esplicitato dal modo di porsi della gran parte delle manifestanti, in particolare delle giovanissime;
-non si trovava traccia, nel corteo, di voler produrre aggregazione partitica o sindacale o altro, comunque interna al campo istituzionale, per portare avanti la battaglia delle donne. Non la si notava da nessuna parte. Si coglieva con chiarezza la volontà di scegliere un’altra strada, di fare altro. Cosa? Io non poss saperlo. È certamente dentro lo spirito combattivo delle partecipanti e lo esprimeranno nel cammino di questo movimento. Intanto hanno preso parola coloro alle quali era negata. L’hanno presa e urlata, per una partecipazione diretta, senza delega, non mediata da niente e da nessuno. Da quelle grida si coglieva nettamente la scelta che se l’ordine deve essere quello esistente, preferiamo il caos!
Queste e molte altre novità segnano la fisionomia, non ancora definita ma in rottura con le convenzioni esistenti, di un nuovo movimento che si sta facendo strada. Ci è sembrato leggerci alcune similitudini con la collocazione dei movimenti degli anni Sessanta e Settanta, in totale frattura con il quadro politico-sociale esistente. A queste se ne è aggiunta un’altra, di grande importanza che marca l’antistituzionalità di questo movimento in maniera indelebile: è l’assenza del formarsi, anche embrionale, di un ceto politico.
La formazione di un tale ceto o di una leadership, è stato l’unico punto di continuità col movimento operaio precedente, dei movimenti che genericamente si definiscono “il 68” o “il 68 strisciante”. Movimenti che su altri terreni si sono posti in forte discontinuità e rottura col passato, producendo straordinarie innovazioni. Nessun movimento, in quel ciclo di lotte, è rimasto immune dalla formazione piramidale con al vertice una leadership che ne ha segnato la involuzione o la fine.
Il 26 novembre in piazza San Giovanni abbiamo visto, all’arrivo del corteo, l’altra grande novità. Forse per la prima volta nella storia dei movimenti, una manifestazione di tale portata e consistenza, è terminata senza il palco e senza il comizio finale. Questa caratteristica ha una valenza rivoluzionaria di grande portata. Se verrà consolidata nel percorso di questo movimento, ciò segnerà, con vitalità, la nascita di un nuovo movimento che potrà aprire una stagione di ribaltamento del presente.
Queste “novità” le leggiamo anche nel disorientamento e nell’incredulità del silenzio dei media. Oltre la cialtroneria, più volte segnalata, dei media italiani, incapaci di leggere la realtà per ciò che è, va colto lo sbigottimento delle direzioni dei media che ha impedito loro di raccontare una realtà non raccontabile con i criteri abituali. L’indifferenza ostentata si illudeva di nascondere la preoccupazione nei confronti di qualcosa che non riescono a capire, loro e i potenti che li finanziano. Una realtà che non sanno come collocare negli schemi interpretativi e che, per tale ragione, gli ha messo addosso tanta di quell’inquietudine e apprensione che a me e a tantissime/i altre/i ha fatto sbellicare dalle risa. Il loro silenzio, di prammatica per chi è abituato a copiare le veline, cercava di esibire la certezza del prossimo naufragio di questo movimento che non ha sponde solide nel quadro politico e nelle istituzioni; ma non è riuscito a nascondere il timore, che può diventare paura, per qualcosa di nuovo che sta sorgendo.
Qualcosa di inconoscibile che può procedere, nonostante siano tutti lì a produrre scongiuri, una realtà in movimento e in rottura che non riusciranno a governare, né a controllare. “Noi siamo le nipoti delle streghe che non siete riusciti a bruciare”, ho letto su un cartello. Poi c’era molto altro ancora, molto, e non mancheranno di manifestarlo. E allora:
Avanti novelle streghe, siamo con voi, al vostro seguito! Andremo lontano!
Altre riflessioni. Probabilmente la dimensione della “donna ribelle” che smette di subire, segnerà i prossimi anni, come il “giovane ribelle” espressione dei movimenti passati ha segnato più di un decennio. Su quest’ultimo il capitale ha riplasmato la sua produzione, indirizzandola verso beni di consumo di massa a beneficio del giovane ribelle, per convincerlo, dopo i carri armati, le carcerazioni di massa e le leggi speciali, che questa società è capace di ridefinirsi intorno ai bisogni di chi si fa sentire. Ma il capitale può offrire, insieme allo sfruttamento e all’oppressione, solo merci, e ne ha offerte tante. Un consumo di massa a carattere giovanilistico ha corrotto alcune generazioni. Finora!
Quale merce potrà corrompere o fuorviare, la donna ribelle? Quale ridefinizione della produzione di massa? Considerato che molta produzione è già indirizzata ai falsi “bisogni” della donna relegata in ruoli sempre più imposti! Cosa escogiteranno gli equilibri del sistema? Lo vedremo, ma soprattutto vedremo, ed è ciò che ci interessa e ci appassiona, streghe libere percorrere strade sconosciute ed entusiasmanti!
s.
Sarebbe stato interessante sapere quali slogan, o “parole d’ordine” furono gridate e “chi aveva convocate” queste 200.000 “persone”, perchè, per esperienza, ci credo poco allo spontaneismo popolare. Marce per la Pace, Referendum, Cortei contro la mafia, Ecologismo, Gay Pride ecc., li trovo dei fuochi di paglia.se non sono seguiti da indicazioni concrete.
Caro Gianni, ho ascoltato tutti gli slogan di questo corteo, l’ho seguito passo passo; ho seguito giorno per giorno il lavoro di queste compagne che l’hanno organizzato e poi aperto a tutte e tutti. Compagne che conosco una a una, che sono attive nei territori a sostegno delle donne che si oppongono alla prevaricazione e alla violenza di tutti i tipi. Il corteo non è stato ovviamente frutto dello spontaneismo, ma del lavoro materiale e continuo di numerosi collettivi e “centri antiviolenza” femministi. Non parlo mai di ciò che non conosco, quello che ho scritto è frutto di questa conoscenza. Certo, questa presenza ingombrante ha dato fastidio a molti/e; i media e i politici hanno fatto finta di non vedere, ma il movimento andrà avanti. Prossimo appuntamento lo sciopero delle donne l’8 marzo.
Mi fa piacere perchè, detto tra noi, mi ricordava la manifestazione di “Se non ora, Quando “, di anni or sono . e poi è meglio essere ottimisti ! se sono garofani rossi..fioriranno 😉 !