Dalli, dalli…al capro espiatorio

15 ottobre, una manifestazione. Una manifestazione come tante che percorre le strade di questa città. In alcuni anni scarse, in altri anni  frequenti. Alcune sono state tranquille passeggiate, altre sono state caratterizzate da scontri con le forze dell’ordine. Già dell’ordine, ordine dello stato di cose presenti che queste forze, polizia di stato, carabinieri e guardia di finanza, cercano di far rispettare ad ogni costo. È compito di quelle forze far rispettare l’ordine.

Il disordine no, creare disordine è il nostro compito, è il dovere di chi protesta.

Nelle fabbriche, per disordinare l’ordine produttivo gli operai autorganizzati in comitati e collettivi, prima ancora in sindacati, hanno prodotto lo sciopero, il corteo interno, il gatto selvaggio, il salto della scocca, il sabotaggio, l’assenteismo, ecc. Disordinare l’ordine produttivo è necessario per consigliare il padrone della fabbrica di accettare le richieste operaie altrimenti l’ordine produttivo non riprende e non tornano i profitti che quell’ordine produttivo garantisce.

Nel territorio, per impedire la devastante costruzione di inceneritori, discariche, alte velocità o avvelenatori vari, la popolazione autorganizzata ha messo in atto azioni che sabotano l’ordinato svolgersi dei lavori delle imprese che saccheggiano le risorse e intossicano gli abitanti.

A livello cittadino o nazionale il disordine si realizza con tutte quelle azioni che impediscono il normale dipanarsi delle attività molteplici metropolitane. L’obiettivo è lo stesso che in fabbrica: interrompere l’ordine delle attività metropolitane attraverso cui prende forma la distribuzione della ricchezza sociale e la sua riproduzione secondo la collocazione delle diverse classi sociali.

Le tante manifestazioni del 15 ottobre in tutto il mondo, al di là dei molti slogan di incerta comprensione come il diritto all’insolvenza, così come la disputa colpevolista su chi ha provocato questa crisi, in concreto provavano ad articolare un semplice alfabeto: la distribuzione della ricchezza, in questa fase, sempre più va ad arricchire i ricchi e ad impoverire i poveri; sempre più. E le argomentazioni non mancavano: dalla disoccupazione, alla precarietà, al supersfruttamento del lavoro migrante, alla penuria di servizi sociali, all’aumento del costo della scuola, della sanità, degli affitti, ecc.

Tutte le componenti, di quella manifestazione, quasi tutte, diciamo il 99% (un numero che va di moda), in tempi diversi, si sono ingegnate a produrre piccole o grandi iniziative contro vari obiettivi nelle città, per porre all’attenzione diverse rivendicazioni sociali. Ora li definiscono Flash mob, le azioni rapide, insolite, inaspettate, disfunzionanti l’ordine metropolitano. A volte sono occupazioni di breve o lunga permanenza; di grande o piccolo effetto, con conseguenze più o meno pesanti per l’ordine. La legge dello stato li considera violazioni di legge, cioè, reati. Ma tutti, con giusta energia, rivendicano essere questo un loro diritto per farsi ascoltare.

Un diritto per tutti? No, non per tutti dicono i leader del movimento. Non per chi il15 ha rovinato la consueta passeggiata pomeridiana condita con finale di comizi, sì, ma comizi plurali. Disfunzionare non è un diritto per tutti, anzi è colpa grave per chi non è “del giro”. Per loro si chiede l’ostracismo, la denuncia, la segnalazione alla polizia, la criminalizzazione, la lapidazione!

Un movimento, quello di sabato 15 ottobre che, ancora qualche tempo fa, affermava di voler costruire un linguaggio innovatore e trasgressivo, oggi la sua presunta leadership si ritrova impastoiata nel più antico e trito linguaggio che l’umanità ha usato e usa per nascondere le proprie incapacità: quello della colpa, ossia della colpevolizzazione del presunto altro da sé. Un ceto politico del movimento che annaspa e si rifà al più antico dei riti, quello del capro espiatorio. Inventando di sana pianta una realtà virtuale, cui viene affibbiato un nome buio e  terrorizzante; e si badi bene, non  a raggruppamenti, a organizzazioni volontarie e consapevoli di persone, ma a semplici atti.

Come a dire, chi si comporta in un certo modo è un Black bloc! Tre decenni fa altri ceti politici asserivano che certi comportamenti definivano il terrorista e lo sbattevano in galera!

Qualche secolo addietro si diceva e si condannava chi andava nelle notti di luna piena in una certa radura, quella era una strega… vi ricorda nulla? Ma il Massachusetts del 1692 non dovrebbe somigliare all’Italia del 2011, oppure si?

È in questo quadro che si consuma l’esistenza reale, anche se virtualmente continuerà a sopravvivere, del ceto politico del movimento che non ha saputo raccogliere e rilanciare una rabbia e una volontà di lotta e di trasformazione sociale di importanti, anche se non maggioritari, soggetti metropolitani, dopo non aver consentito che questa rabbia si potesse esprimere autonomamente. Si consuma e si dissolve così nel  rito del capro espiatorio, il coacervo delle loro supponenze e delle loro incapacità.

Addio ceto politico, senza nostalgia né rimpianti, e… in ogni caso nessun rimorso.

Ora il lavoro da fare è portare quella “rabbia che agisce” nei posti di lavoro e  nei territori…

18 ottobre 2011,   contromaelstrom
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2 risposte a Dalli, dalli…al capro espiatorio

  1. Gianni ha detto:

    Hai proprio ragione in tutto.Sembrava il carnevale di Rio o di Viereggio con tutti/e quei o quelle buffone saltellanti;la rivoluzione non sarà una festa, comunque finisca! E’ inutile che cerchino di fare di ogni erba un fascio..basta saper leggere ed ascoltare le varie prese di posizione e di distanza riguardo agli episodi del 15 ottobre; anche negli anni ’68-’70 finchè ci fu una seria mobilitazione, nei consigli di fabbrica si poteva patteggiare….ma dopo il 1970 ti sentivi dire dal “padrone” di turno: “guardate che la confindustria e le confederazioni sindacali si sono già messi d’accordo per molto meno di quello che vi offro io”(così mi interloquì il dottor Claudio Cavazza amministratore delegato della industria farmaceutica Sigma Tau per la quale ho lavorato dal ’69 al ’76 dopo che il PCI mi aveva buttato fuori dalla farmacia comunale di Pionbino perchè avevo aderito al Potere Operaio di Pisa). E allora facciamo casino, facciamogli vedere che ci girano i coglioni perchè non abbiamo prospettiva futura, sia che abbiamo la terza media, sia che abbiamo una o due lauree.Cicli e ricicli storici!! ma se non ci siamo arresi nel ’68 che fu una “rivoluzione culturale”, figuriamoci oggi!!!!!! Gianni

  2. Damiano ha detto:

    condivido lo spirito dell’articolo specialmente l’ultima frase in Rosso !
    spero che il tuo soggiorno sotto la Torre sia stato piacevole…
    un saluto a pugno chiuso,

    Damiano, un compagno di Battaglia

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